Philippe Daverio, fascinazione intellettuale e coinvolgente simpatia all’inaugurazione della mostra “Pop art e oltre… La quotidianità e i suoi miti”. Ascoltarlo è un piacere per i sensi che vengono continuamente solleticati da una presentazione che abbraccia le più diverse tematiche, politica, sociale, Arte, storia. Una quotidianità nel risveglio della civitas..
di Antonella Iozzo
L’Arte consente di capire il mondo molto più velocemente dei trattati di filosofia. Fascinazione intellettuale e coinvolgente simpatia: Philippe Daverio conquista il pubblico di Bondo all’inaugurazione della mostra “Pop art e oltre… La quotidianità e i suoi miti”. Ascoltarlo è un piacere per i sensi che vengono continuamente solleticati da una presentazione che abbraccia le più diverse tematiche, politica, sociale, Arte, storia. Una quotidianità nel risveglio della civitas, le cui origini si diramano nel nostro passato, lo stesso che conduce Daverio sulle strade del Concilio di Trento.
Perché è cosi importante?
L’inizio del concilio è molto importante è il momento in cui si determina quell’italianità che poi ci accompagnerà per mezzo millennio.
Una definizione di Arte che non cada nella retorica.
L’Arte è un virus che cambia il nostro modo di percepire, dopo che siamo entrati in contatto con essa. È il documento di un’epoca, in quanto riesce ad anticipare gli eventi e a certificarli dopo che sono avvenuti.
Il mercato è un valore aggiunto del capitale Arte?
No. Il mercato con l’Arte non centra assolutamente niente, sono due cose distinte.
Cosa pensa della crisi che sta attraversando anche l’Arte?
Questa crisi nell’Arte è durissima perché avviene in un paese, l’Italia, che odia i giovani e odia gli artisti. L’Italia è un paese molto crudele, intimamente cattivo e in un paese cattivo la crisi diventa peggiore, proprio perché gli italiani non amano i giovani e gli artisti. Quello che non capisco è come mai i giovani e gli artisti non tirano giù un Kalashnikov e si mettano a sparare.
Oggi la quotidianità forma il mito o viceversa?
Né l’uno, né l’altro, perché l’epoca delle avanguardie è totalmente conclusa che viviamo in un’epoca dove c’è da un lato, un enorme popolo trasversale che esprime delle valenze contraddittorie e, dall’altro, delle arie vitali che vivono per conto proprio e non comunicano necessariamente con il popolo trasversale.
Pensa che avere successo economico sia l’obiettivo che muove il pennello di un artista?
Muove quello di alcuni artisti, è sempre stato così. Oggi sembra l’unica sanzione del successo per quelli che hanno un cervello ridotto, ma ci sono grandissimi sciamani, felicissimi di esserlo che non guardano assolutamente al successo. Alcuni, poi, hanno la fortuna di essere sciamani e di avere anche successo. Sono tre o quattro in Europa non di più.
La chiave di volta di una città sta nella sua Arte?
No, sta nella sua vita civica, talvolta questa diventa anche un accordo che si lega con l’Arte, ma la prima caratteristica della città è la sua civitas.
Viaggia spessissimo: Daverio e il viaggio.
Io mi sposto perché mi annoio in un posto stabile. Ho avuto la sfortuna di fare l’assessore per quattro anni a Milano, e sono stati quattro anni di arresti domiciliari. Appena mi hanno dato il via libera non mi son più fermato.
Sedotto o seduttore dell’Arte?
Non lo so, non mi sono mai posto la domanda, ma non mi è mai venuta la sindrome di Stendhal. Di certo credo che l’Arte consenta di capire il mondo molto più velocemente dei trattati di filosofia.
Daverio in tre aggettivi
Ma non lo so, sono narcisista ma mica “pirla”.
di Antonella Iozzo © Riproduzione riservata
(21/07/2012)
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