Calo visibilità brand enologici

Calo visibilità brand enologici.  Il calo preoccupante della ”share of voice” del vino italiano nel mondo. La riduzione degli investimenti della promozione “istituzionale” del vino italiano e delle sue denominazioni rischia di rendere sempre più debole la visibilità dei nostri brand enologici a livello internazionale
di Fabio Piccoli 

Calo visibilità brand enologici. In questi giorni sono andato a spulciarmi i dati delle iniziative (co-finanziate dalla misura Ocm Vino promozione nei Paesi terzi) di promozione di vino italiano nel mondo e, sicuramente complice anche la pandemia, vi è stata un’importante riduzione delle cosiddette azioni pre-competitive, cioè quelle attività di comunicazione volte ad aumentare la visibilità di un brand (denominazione) su un determinato mercato.

Incuriosito, sono andato a ricercare i progetti di anni precedenti alla pandemia e mi sono accorto che progressivamente, dall’avvio della misura nel 2009, è venuta sempre meno l’attività promozionale internazionale da parte dei Consorzi di tutela.

Talvolta tale attività è stata totalmente eliminata dai Consorzi, mentre altre volte questi si sono limitati ad essere dei “contenitori” per le azioni di singole aziende associate.

Intervistando in queste settimane alcuni export manager ed organizzatori di eventi internazionali del vino, ho ricevuto da più parti una sorta di grido di allarme sull’assenza di iniziative, possibilmente lungo tutto l’arco dell’anno, capaci di aumentare la notorietà dei nostri brand territoriali almeno sui mercati più importanti.

Tra i vari intervistati evidenzio il commento di Sebastiano Bazzano, responsabile di B-Connected (una delle più dinamiche realtà attive a livello internazionale nell’organizzazione di eventi b2b): “Sto registrando in questi ultimi anni una forte diminuzione dello Share of Voice del vino italiano, e questo è molto grave perché da un lato dà modo ad altre nazioni produttrici di farsi spazio sui mercati e dall’altro non si crea quel fondamentale substrato di conoscenza delle nostre denominazioni che sta alla base per un’efficace penetrazione commerciale delle nostre aziende”.

Lo “Share of Voice” (spesso conosciuto con l’acronimo SOV) consiste nella visibilità di un brand rispetto ai brand concorrenti. Per calcolare la SOV si utilizza la seguente formula: SOV=Valore visibilità brand/Valore totale di visibilità sul mercato.

Insomma, è fondamentale avere una SOV alta sui mercati perché altrimenti si rischia di essere invisibili.

Ho la netta sensazione che non solo abbiamo moltissime denominazioni italiane con SOV pari a zero (e questa è una facile constatazione), ma che anche la SOV complessiva del vino italiano non stia godendo di ottima salute. E non c’è da meravigliarsi, visto il perdurare dell’assenza di una regia precisa sulla promozione del vino italiano nel mondo, che poi si traduce nella mancanza di una strategia operativa.

Ma ritengo sia molto preoccupante anche l’arretramento di molti Consorzi di tutela sul fronte della promozione internazionale. Parlo spesso con i responsabili di Consorzi al riguardo e la risposta che mi viene data è quasi sempre la stessa: “I nostri soci preferiscono che venga data priorità ai progetti aziendali rispetto ad iniziative di promozione collettiva delle denominazioni”.

Una giustificazione che per certi aspetti è legittima, considerando anche la “coperta corta” dei finanziamenti pubblici, ma è altrettanto vero che senza una SOV adeguata sui mercati le possibilità delle nostre aziende del vino di farsi conoscere si abbassano notevolmente, soprattutto per le cantine che risultano fuori dal cosiddetto mainstream.

Le azioni pre-competitive, cioè quelle in grado di far conoscere un territorio produttivo in un determinato mercato, sono pertanto fondamentali e ridurre questa attività complica ulteriormente il già difficile compito dell’internazionalizzazione delle nostre imprese vitivinicole.

Calo visibilità brand enologici. Tutto ciò testimonia, a mio parere, quella cronica miopia del nostro sistema vitivinicolo che fatica a guardare oltre il proprio orticello. Si fatica a comprendere, quindi, che la valorizzazione di un brand aziendale è tanto più agevolata (se non addirittura resa possibile) dall’aumento della conoscenza della denominazione di appartenenza nei mercati che si vogliono affrontare.

Ma cercare di aumentare la SOV del vino italiano e delle sue denominazioni nel mondo obbliga anche il sistema vino Italia ad analizzare finalmente in profondità le reali potenzialità dei mercati e, in particolare, i profili dei consumatori.

Se vogliamo infatti comunicare le nostre denominazioni in maniera efficace dobbiamo finalmente comprendere quali possono essere i contenuti e il linguaggio ideale da utilizzare.

Pensare che tutto questo possa essere realizzato privatamente dalle aziende è un’illusione molto pericolosa e già oggi vediamo le conseguenze di questo errore.

Quante denominazioni italiane hanno un SOV sufficiente per renderle almeno visibili?

Calo visibilità brand enologici. E quante denominazioni italiane hanno un SOV “numericamente” interessante ma basato su valori sbagliati che ne abbassano reputazione e posizionamento?

Riusciamo ogni tanto anche ad affrontare queste tematiche invece di soffermarci solo sulle vendemmie del secolo, sulle meraviglie del vino italiano, su quanto siamo belli?

Se il punteggio del SOV ce lo diamo da soli come fosse un autocertificazione, temo che tra un po’ faremo fatica a riconoscere anche le denominazione sotto casa. (  https://www.winemeridian.com/ )

 

     di Fabio Piccoli
     (10/10/2022)

 

 

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