Carlo Colombara Studio, impegno, maturità Lavorare con Muti è qualcosa di eccezionale e d’indimenticabile
Carlo Colombara, tra i più apprezzati cantanti nel registro di basso affascina le platee dei più importanti teatri internazionali e conquista la critica più esigente. Da Monteverdi a Puccini senza dimenticare Verdi e poi Rossini, Boito, Stravinskij, Musorgky un vasto repertorio che rivela la poliedricità del suo timbro vocale ed il forte feeling comunicativo. Un amore , quello di Colombara nato prestissimo, una passione profonda, una lirica dedizione.
In poche parole: ouverture, primo e secondo atto di questa lunga carriera, il terzo mi sembra sia appena iniziato ….
Si credo proprio di si! Ancora, però, non so quanti atti ci sono nella “mia” opera, spero ancora molti! Questi ultimi due anni sono stati molti intensi: l’anno scorso ho debuttato con il ruolo di Mefistofele, protagonista dell’opera di Boito, al Festival di Savonlinna. Inoltre ho cantato il mio primo Escamillo della Carmen al Festival delle Terme di Caracalla a Roma. Quest’anno i debutti sono stati addirittura tre. Il Don Pasquale quest’estate a Peralada, il mio primo ruolo come basso buffo. Poi i quattro ruoli di Les Contes d’Hoffmann a Nagoya e infine Don Giovanni…insomma, un terzo atto molto pieno!
Quando e come ha sentito che la lirica interpretava la sua vita o il suo sogno?
Penso che questa “malattia” sia nata e cresciuta con me, forse trasmessa da quel mio lontano parente che si chiamava Riccardo Stracciari (che era baritono)… Ricordo la prima volta che vidi un’opera: la Carmen a Bologna, la mia città natale. Avevo solo nove anni ma capii immediatamente che quella era la mia strada. Ho cominciato studiando pianoforte e poi canto e non ho più smesso.
Nel 1989 esordisce alla scala con il ruolo di Procida nei Vespri siciliani , direttore Riccardo Muti. Verdi, Muti, la Scala, una combinazione perfetta che consacra, conferma, o cosa?
Credo la coincidenza più felice e utile della mia carriera! Lavorare con Muti ovviamente è qualcosa di eccezionale, e indimenticabile. Muti mi ha diretto anche nella Messa da Requiem, a Frankfurt nel 1994, poi Nabucco a Ravenna e alla Scala nel 95 e 96 e sempre alla Scala in Macbeth.
Da New York a Mosca passando per Londra, Madrid, Verona, Monaco, Berlino, solo per citarne alcuni, come cambia il pubblico?
Non credo il pubblico cambi molto… forse alcuni sono più calorosi e altri meno ma in generale il pubblico dell’opera è abbastanza omogeneo in tutto il mondo. Quello che mi sembra cambi invece in modo significativo da un posto all’altro è la programmazione artistica. Sono i direttori artistici con le loro scelte , condivisibili o meno, a decidere quello che il pubblico vedrà ed a definire l’identità del teatro in cui operano.
Successo, applausi, teatri internazionali, ma vi sono anche le ferite da palcoscenico?
Certo! Però devo dire che io ho una fortuna: nel mio caso si cicatrizzano in fretta e sopratutto mi hanno reso molto più forte, mi hanno aiutato a imparare e a crescere. Per cui si, ci sono ferite e cicatrici, ma va bene così!
Come si avvicina al personaggio da interpretare?
Ho cominciato ad ascoltare opera a nove anni e già da allora conoscevo a memoria tutte le battute dei personaggi che ora interpreto. È come se da sempre fosse radicata in me un’idea molto precisa di come fossero questi personaggi e di come interpretarli. Li conosco bene, proprio perché li amo. Il problema, invece, può nascere quando s’incontrano registi che hanno idee molto diverse: in quel caso bisogna trovare un compromesso, un punto d’incontro riguardo l’interpretazione del personaggio.
Quanto studio, impegno, maturità intellettuale richiede la preparazione di un ruolo?
Molto studio, molto impegno, moltissima maturità intellettuale ma anche, è fondamentale, una volontà di ferro!! Se dovesse mancare uno solo di questi elementi, se si trascurasse lo studio o se non ci si impegnasse per dare il massimo sulle scene, non si può fare il vero salto di qualità ed essere dei professionisti.
In che modo inizia il dialogo tra un basso ed un direttore d’orchestra?
Inizia bene.. anche perché ormai in tanti anni ho lavorato davvero con tutti: Bruno Bartoletti, Gary Bertini, Riccardo Chailly, Myung-Whun Chung, Colin Davis, Daniel Oren, Gianandrea Gavazzeni, Carlo Maria Giulini, Eliahu Inbal, Lorin Maazel, Zubin Mehta, Antonio Pappano, Michel Plasson, Giuseppe Sinopoli… A volte ci si può sentire intimoriti , o se non si conosce il direttore , pensare che le cose possono non andare per il verso giusto, invece quasi sempre sono felice di ritrovare dei veri amici e bravissimi Maestri.
Un ricordo particolare legato ad un direttore d’orchestra?
Si, a Riccardo Muti: una sera alla Scala, dovevo cantare Nabucco ma stavo malissimo, avevo l’influenza. Muti venne in camerino e mi disse “Stia tranquillo, vedrà che andrà benissimo”… insomma mi aiutò durante tutta la serata staccandomi dei tempi perfetti per non inciampare in qualche problema vocale. Ho un ricordo umanamente bellissimo di quella serata
Affianca la carriera operistica a quella concertistica. Due “situazioni artistiche “ molto differenti per chi ascolta e per chi esegue. E’ come cantare senza recitare o come evocare la rappresentazione?
Il mio intento, sia in concerto che durante una opera è sempre lo stesso, ovvero trasmettere emozioni. Che ci sia un costume o un frack l’obiettivo non cambia, lo sforzo e l’impegno deve essere sempre lo stesso. Bisogna dare il massimo sia davanti al pubblico del MET che davanti al pubblico di un Circolo di Amici della Musica, per esempio. L’atteggiamento e la passione che ci metto sono sempre gli stessi.
Per un cantante lirico che ancora deve arrivare, l’opera rappresenta il coronamento di anni di studio, per quello già affermato come lei, il concerto cosa rappresenta?
Il concerto rappresenta per me l’essere arrivati come cantante lirico, il recital è quasi una consacrazione, qualche cosa di molto importante.
Numerose sono le sue incisione in CD e DVD fra gli ultimi il dvd “El Arte del bajo”, in cui interpreta ruoli molti diversi fra loro, passa dall’opera di Verdi a quella di Rossini, Bizet, Musorgky, come questa versatilità vocale sfocia nell’ Arte del bajo?
Tranne il ruolo di Escamillo che è un ruolo baritonale, tutti gli altri rappresentano i personaggi più importanti per un basso, gli obiettivi della carriera. Volevo proprio includere in questa raccolta i ruoli che considero fondamentali, che amo di più. È qualche cosa di nuovo perché non esisteva una raccolta di arie popolari per questo registro, è stata una sfida importante e interessante
Quanto c’è di Escamillo, di Attila o di don Basilio in Colombara? E quanto Colombara c’è in questi personaggi?
Quando interpreto un personaggio metto molto di me stesso con i miei pregi e con i miei limiti naturalmente. Il contrario invece direi che non succede, raramente c’è qualche cosa di me nei personaggi che interpreto, forse perché spesso il basso è un sacerdote, un re o al contrario un diavolo!
Quando non si esibisce, va a teatro?
Si, per ascoltare amici
Progetti futuri?
Dopo Zurigo, dove sono impegnato in questi giorni con le prove di I Masnadieri e dove resterò fino a gennaio per interpretare anche Nabucco, tornerò a Barcellona, la mia città adottiva, per Anna Bolena. Poi Norma a Las Palmas, Simon Boccanegra a Zurigo, Nabucco in versione concerto a Bruxelles e poi ancora Zurigo per Anna Bolena. In estate sarò a Savonlinna per Don Giovanni e poi a New York per Nabucco…insomma ho davanti un anno molto importante e intenso!
Carlo Colombara in tre aggettivi
Solo tre? Difficile…allora direi determinato, orgoglioso, generoso…quest’ultimo pero forse dovrebbero dirlo gli altri!
di Antonella Iozzo © Produzione riservata
(26/11/2010)
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