Fabio Armiliato Prima che “tenore” ritengo di essere un musicista e quindi lavorare con chi la Musica la fa e la vive
Quando la voce dà corpo all’inafferrabile della musica, la lirica vibra di passione e rigore, di professionalità e dedizione. Qualità che hanno reso Fabio Armiliato uno dei tenori più acclamati sulla scena mondiale.
Sente di avere una sorta di responsabilità musicale, verso se stesso, verso l’arte musicale, verso chi crede in lei ?
La Musica è parte integrante della mia vita e ho coltivato interesse passione e rispetto per l’Arte Musicale fin dalla più tenera età. Grazie al contributo della mia famiglia e attraverso la sua educazione, ho imparato a comprenderne i valori fondamentali e sono riuscito, attraverso la costanza e uno studio sempre più approfondito e continuo, a far diventare questa passione la mia professione. Non si smette mai di imparare e il successo che si ottiene attraverso le proprie prestazioni, non deve mai essere considerato come un punto di arrivo, ma come una tappa importante per trovare ancora la voglia di crescere nella ricerca e quindi nell’approfondimento del proprio talento artistico e della propria professionalità.
La consapevolezza di aver raggiunto, oggi, una posizione importante nella considerazione del pubblico e degli appassionati, si è trasformata in un grande senso di responsabilità ma anche in un grande incentivo per cercare di dare sempre il meglio in ogni recita.
Debutta nel 1984 con il ruolo di Gabriele Adorno nel Simon Boccanegra di G. Verdi, un compositore che assume sempre più rilevanza nel suo repertorio …
Nel corso della mia carriera Verdi è sicuramente stato un compositore fondamentale, sia per il mio sviluppo artistico sia per la mia maturazione vocale. Ho cantato molti dei suoi capolavori nella prima parte della mia carriera, ma in questi ultimi anni sto riprendendo molti di quei ruoli conscio di poterli affrontare con maggiore maturità, consapevolezza tecnica ed artistica. Recentemente, oltre ad aver registrato in studio l’opera completa LA TRAVIATA ho infatti interpretato Aida, La forza del destino, I Vespri Siciliani ed a Gennaio riprenderò Un Ballo in Maschera a Montecarlo. Debutterò, poi, nel prossimo anno in Otello a Liegi dove canterò anche Il Trovatore e La Forza del Destino, che riprenderò anche alla Staatsoper di Vienna.
Armiliato e Verdi una storia di passione, di consonanza tecnica, di amore sul filo della melodia?
In Verdi ho sempre trovato il modo di poter approfondire la disciplina tecnica: la vocalità verdiana è sempre molto impegnativa e “scoperta” e si espande su una linea melodica sempre vincolata alla parola e nella ricerca di un significato assolutamente coerente al contesto drammatico. Non esiste mai un effetto fine a se stesso nella scrittura verdiana. I sentimenti espressi nelle melodie verdiane corrispondono sempre all’esaltazione di quei valori universali che lui ha reso ancora più immortali grazie alla sua capacità di renderli più comprensibili attraverso la sua musica.
Festival Verdi 2010, i Vespri Siciliani, Armiliato/Arrigo. Si ritiene soddisfatto? Come definirebbe l’esecuzione dell’intera opera?
L’edizione de I Vespri Siciliani al Festival Verdi 2010, diretta dal M.o Massimo Zanetti per la regia di Pierluigi Pizzi, è stata davvero una grande produzione con un cast straordinario e una splendido allestimento, molto coinvolgente. La mia prestazione è stata purtroppo condizionata da un’improvvisa indisposizione, ma questo non mi ha comunque impedito di poter eseguire con successo alcune recite che sono state registrate in DVD per il cofanetto celebrativo che il teatro Regio di Parma sta preparando per il 2013, in occasione del bi-centenario dall’anno della nascita di Verdi. Rimarrà quindi, di questa magnifica produzione, la testimonianza video di un fatto storico: erano infatti addirittura 108 anni che quest’opera non veniva eseguiva al Teatro Regio di Parma!
I Vespri sono un’opera molto difficile ed è forse per questo che moltissimi dei grandi interpreti più celebrati del passato hanno evitato di eseguirla, proprio per la tessitura e il grande impegno vocale che richiede. In quest’opera si nota, forse più che in ogni altra, la differenza del diapason usato da Verdi per la sua composizione: è l’unica opera scritta direttamente in lingua francese per l’opera di Parigi, dove il diapason era canonicamente attestato su 432 Hz.
Un discorso, questo del diapason che sarebbe certamente il caso di riprendere, soprattutto per una corretta esecuzione di molte opere scritte in quel determinato periodo storico.
Puccini sembra essere l’altro compositore che la impegna maggiormente, scelte senza dubbio felice. Cosa determina la scelta e quali sono le sostanziali differenze?
Posso dire che di Puccini ho cantato praticamente tutta la sua produzione; fanno eccezione solo le due opere giovanili e il Gianni Schicchi. Grazie a questa frequentazione del repertorio pucciniano, ho potuto approfondirne lo stile interpretativo e la vocalità, arrivando anche ad eseguire un numero di produzioni e di recite davvero significativodi di alcune opere, come per esempio Tosca, Turandot, Manon Lescaut e Fanciulla del West.
La differenza fra questi due grandissimi compositori è sostanziale e si evidenzia nel progresso stilistico che l’opera ha compiuto dal repertorio belcantistico fino a Verdi. Con Puccini si sviluppa in un altro genere di romanticismo basato su una forte espressione dei sentimenti messi in risalto da una vocalità sempre melodica, ma molto più sfogata ed estroversa che risente molto di più anche dell’influenza Wagneriana del periodo e anticipa in molti casi l’avvento del repertorio Verista.
Questo processo di evoluzione della vocalità era già sicuramente iniziato con le opere della maturità di Verdi, ma si può affermare che con Puccini si ha il completamento di questo percorso musicale.
Nel 1993 giunge al Metropolitan Opera di New York ne Il Trovatore di Verdi, a seguire è apparso nell’Aida, Cavalleria Rusticana, Don Carlo, Simon Boccanegra, Fedora, Tosca e Madama Butterfly . Per molti arrivare al Metropolitan equivale alla consacrazione artistica. E’ stato cosi anche per lei?
Il Metropolitan è il Teatro che negli anni 90 mi ha dato l’opportunità di poter prendere parte a produzioni di grande rilievo internazionale e quindi di poter aumentare la mia esperienza, la mia visibilità e la mia reputazione. Ha dato uno slancio davvero importante alla mia carriera, consacrandomi come interprete appartenente al cosiddetto “Star System” del Mondo dell’Opera. Nell’anno 2012 ritornerò sul palcoscenico del MET con Il Trovatore, esattamente a 20 anni dal mio debutto che è avvenuto proprio con lo stesso ruolo! Manco da qualche anno al MET e poter tornare in queso prestigoso Teatro e celebrare insieme al suo pubblico, al quale sono particolarmente legato, il ventennale dal mio debutto è per me motivo di grande soddisfazione.
Cos’è il successo per Fabio Armiliato?
Per me il successo è il frutto del lavoro. Un lavoro ben eseguito crea i presupposti per un giusto riconoscimento che, nel tempo, si trasforma gradatamente in successo. Non bisogna confondere, come si fa spesso, il successo con la popolarità…oggi questo equivoco è molto diffuso. Il successo non deve essere mai considerato un traguardo, ma un punto di svolta a gratificazione del lavoro svolto e confortato dal riconoscimento di pubblico e crtitica.
Per un cantante credo sia importante, nel corso della carriera, coltivare e soprattutto approfondire sempre l’aspetto tecnico e musicale, sviluppando tutto questo attraverso il lavoro sul palcoscenico, per trasformare il proprio talento e la propria Arte in una professionalità che possa durare nel tempo. Sostengo che un successo breve e effimero, che porta magari anche ad una certa popolarità, non sia utile nè al cantante nè al pubblico; un successo prematuro può diventare addirittura un peso insostenibile, controproducente e pericoloso e poi si propongono al pubblico personaggi che troppo presto scompaiano creando quindi aspettative puntualmente deluse.
Il mondo dell’Opera appartiene a una forma d’Arte che non può vivere di solo “show-business”, soprattutto se dietro ad una buona personalità non c’è un’adeguata preparazione tecnica, culturale e artistica. Bisogna oggi più che mai cercare di essere interpreti preparati e in grado di poter dare, attraverso la nostra sensibilità, un’interpretazione sempre viva e moderna , in rispetto della tradizione ed in sintonia con i nostri tempi. Questo è l’unico modo per poter trasmettere al pubblico quel senso di rinnovamento che porta sempre più le giovani generazioni ad innamorarsi di questo meraviglioso Mondo del Melodramma e dell’Opera Lirica.
Che rapporto ha con i direttori d’orchestra? Come è stato lavorare con Muti, Mehta, Pappano, Gelmetti, solo per citarne alcuni?
Prima che “tenore” ritengo di essere soprattutto un musicista e quindi lavorare con chi la Musica la fa e la vive in maniera straordinaria. Ogni incontro è sempre stato motivo di crescita e con tutte questi grandi figure ho generato sempre collaborazioni estremamente importanti e costruttive. Oggi si sente sempre di più l’esigenza di collaborazione tra tutti gli artisti coinvolti nella creazione di una produzione operistica e soprattutto proprio con i direttori d’orchestra, ed è solo attraverso l’effettiva collaborazione e la simbiosi delle personalità artistiche che si possono ottenere e creare i migliori risultati possibili.
A questi nomi citati, ne potrei davvero aggiungere molti altri, perché ho avuto la possibilità e soprattutto il privilegio di poter lavorare con tutti i direttori d’orchestra più importanti dei nostri giorni, che hanno fatto grande sia l’opera lirica che la musica sinfonica.
Armiliato, Dessì e si dispiegano pagine meravigliose. Come è nata la vostra collaborazione? Cosa vi accomuna?
In questi dieci anni di collaborazione e di vita insieme a Daniela Dessì, abbiamo condiviso un percorso artistico davvero straordinario, che ci ha portato ad ottenere risultati talmente importanti, attraverso le nostre interpretazioni, da entrare di diritto a far già parte della storia del melodramma dei nostri giorni. La nostra unione ha avuto la fortuna di avvenire in un momento particolare, con due importanti carriere già ben definite e ben realizzate e soprattutto con caratteristiche che ci accumunano e che ci hanno consentito così di poter creare un forte sodalizio artistico. L’intesa sulla scena, l’innata musicalità, lo stesso repertorio e due tipi di voce che si combinano bene insieme, sono gli aspetti che hanno certamente favorito questa collaborazione e hanno contribuito al suo successo e alla sua durata nel tempo. Il nostro rapporto affettivo e la nostra vita privata ha poi integrato appieno questo aspetto artistico, potenziandone il legame.
Attraverso la nostra intesa e la nostra complicità sulla scena, siamo forse riusciti a rendere più comprensibili i rapporti tra i tanti personaggi che abbiamo interpretato. Il pubblico, oggi più viziato di un tempo, dal cinema e dalla televisione, ha imparato ad amare e ad apprezzare di più amanti e copie celebrei del melodramma anche per il taglio più moderno e credibile delle nostre interpretazioni.
In quest’ottica, abbiamo cercato di dare una lettura differente soprattutto alle opere del verismo italiano della ”Giovane Scuola”, cercando di valorizzare maggiormente questo repertorio, non sempre apprezzato appieno dalla critica, proprio in funzione di una lettura più moderna, più attinente e pertinente allo spartito e con tanta voglia di dimostrare che questa nostra intesa e questo nostro rispetto per questo genere e per i suoi compositori può dare al mondo dell’opera e alle giovani generazioni una positiva rivalutazione e un buon esempio da seguire.
Come definirebbe la Dessi sulla scena e fuori scena?
Daniela Dessì è una grandissima artista, a mio avviso, è il più grande soprano di oggi e la vera erede di quella tradizione sopranile che ha fatto grande il melodramma, rendendolo popolare ed amato. Ha tutte le caratteristiche che definiscono i grandi personaggi: la musicalità, la tecnica, la vocalità e l’intelligenza artistica. Credo che questo periodo storico si possa proprio definire, come ha affermato spesso anche il grande musicologo Giorgio Gualerzi, il “periodo di Daniela Dessì”, perché lei ha dato davvero un’impronta importante in tutti i generi e i repertori vocali: nel barocco prima, quindi nelle opere di Mozart poi attraverso il belcanto, per giungere fino a Verdi e a Puccini, per poi arrivare finalmente al periodo del verismo musicale, dove davvero è interprete oggi insuperabile sulla scena.
Io personalmente ho imparato moltissimo da Daniela in questi dieci anni di collaborazione: la sua ispirazione sia tecnica che vocale, è stata molto importante per la mia maturazione artistica. Mi piace dire sempre e lo ripeto anche in questa circostanza, che Daniela è un esempio assoluto di belcanto e da lei si può veramente imparare moltissimo.
Fuori dalla scena Daniela è una donna sensibile. Un’artista che si toglie il suo vestito di diva per diventare una persona straordinaria e soprattutto comprensiva di tutti gli aspetti della vita anche fuori dal palcoscenico.
Numerosi premi, l’ultimo il premio “Piastrella” ricevuto a Sassuolo insieme alla Dessì, che significato assume per lei personalmente e per la sua carriera?
Tutti i premi sono il riconocimento graditissimo dell’affetto degli appassionati e del consenso dei critici. Il successo quindi si misura anche in funzione di quanto il pubblico riconosce il tuo lavoro e l’Arte che rappresenti.
Ho avuto tantissimi riconoscimenti nella mia carriera ma alcuni, soprattutto quando vengono consegnati alla nostra “Coppia Artistica”, assumono per me un significato affettivo ancor più particolare a conferma di quanto affermato precedentemente.
Considero l’opera per certi aspetti un po’ parte del vero “Artigianato”…e l’Artigianato si fa anche in famiglia, come testimoniano le antiche tradizioni storiche del nostro straordinario paese per tutte le forme d’arte e quindi anche per il teatro di prosa e per il melodramma. Moltissime sono infatti le “famiglie artistiche” esistite in tutti i tempi nell’ambito teatrale; proprio perché attraverso lo scambio, l’approfondimento tecnico, la facilità di collaborazione che esiste nell’ambito famigliare e con la trasmissione orale dei segreti della propria arte, si riusciva a dare quella continuità a ciò che si acquisiva attraverso l’esperienza e a ciò che si rappresentava, favorendone così la continuazione nel tempo e giustificando in questo modo anche la convivenza con quel particolare incrocio che esiste tra la vita privata e quella pubblica di un artista affermato.
La miglior critica che ha ricevuto ?
La miglior critica che ho ricevuto è quella di essere considerato un tenore che “canta bene” e che “sa cantare”. Questa è la cosa più bella che un cantante possa sentirsi dire. Io so di non esser nato con una voce di quelle da far gridare al miracolo al primo ascolto e questa è stata per me, tutto sommato, paradossalmente una grande fortuna: la mia ricerca e la mia insaziabile voglia di conoscere e di apprendere la tecnica vocale mi ha portato per questo motivo a cercare di ottenere sempre il meglio dal mio strumento vocale. Il riconoscimento per il lavoro compiuto in tutti questi anni, cioè riuscire ad ottenere il massimo dalle mie possibilità vocali cercando sempre e soprattutto di rispettare il compositore e le indicazioni dello spartito , credo sia la maggior gratificazione ricevuta in termini di critica.
È la musica che pulsa nella vita di Armiliato o viceversa?
Non esiste un confine. Io credo fermamente nell’unità del TUTTO e quindi nella simbiosi totale dell’essere con l’universo.
Lo stesso universo musicale fa parte di me, perché ne sono totalmente immerso: noi respiriamo ritmicamente…il nostro cuore pulsa ritmicamente…il ritmo è già musica e la musica esiste e pulsa dentro di noi in ogni istante. Se prendiamo coscienza di questo e impariamo ad osservare di più la natura che ci circonda, possiamo imparare proprio da questa ad esprimerci sempre meglio utilizzando e migliorando così il nostro talento e la nostra sensibilità.
Ho avuto la fortuna di avere una musicalità innata, per cui ho sempre avuto l’impressione di poter “giocare” con la musica: è questo un grande dono che ho avuto dalla vita. Il mio lavoro nel tempo è stato solo quello di prenderne coscienza e di farlo pulsare in me, per provare a diventare uno strumento sempre più “accordato” in sintonia e in armonia con la vita e quindi con la musica universale.
Impegni futuri?
A dicembre sarò impegnato con Daniela Dessì al Teatro Verdi di Salerno. L’opera in programma è Francesca da Rimini ritenuta da molti nostri estimatori come un’opera che evidenzia proprio il nostro legame in scena in maniera veramente importante.
Da gennaio incomincerà per me un periodo di lavoro molto fitto che si protrarrà per tutto il 2011. Inizio a Montecarlo con Un Ballo in Maschera, poi ad Amburgo per Carmen e Pagliacci, ed a Vienna per Aida. In seguito sarò a Liegi per il mio debutto di Otello già accennato prima, poi Turandot a Copenaghen, Carmen a Barcellona ed ancora Aida in Arena….il resto e i dettagli potete leggerli nella schedule del mio sito www.fabioarmiliato.com!
Armiliato in tre aggettivi
Osservatore. Appassionato. Coerente.
di Antonella Iozzo © Produzione riservata
(9/12/2010)
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Foto:
Fabio Armiliato ©Antoni Bernad-Fidelio Artist
I Vespri Siciliani-Parma-2010©Roberto Ricci
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