William Shakespeare il Teatro dell’Elfo
Ferdinando Bruni e Elio De Capitani
“Il racconto d’inverno”
Una tragicommedia dove niente è come sembra, dove comico e tragico convivono…
Trento – Se la gelosia è un compatto materico sentimento che fatalmente riveste la ragione di atroci dubbi e angoscianti pensieri,William Shakespeare è l’autore che meglio ne esprimere il calore intenso e vorace travolge l’uomo e invade il mondo. Una verità portata in scena dalla compagnia del Teatro dell’Elfo in “ Il Racconto d’inverno”, testo shakespeariano intenso e poetica per la prima volta a Trento presso l’Auditorium Santa Chiara.
Gelosia, quindi, ma anche follia tirannica, scontro generazionale, condizione femminile, temi sempre attuali che la regia di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani ha intrecciato fra loro per poi dispiegarli in assoli di tenera e drammatica verità cercando di non appesantire la struttura narrativa.
Una favola sospesa nelle anse del tempo con una trama ricca di colpi di scena, di viaggi avventurosi e inaspettati ritrovamenti. Una tragicommedia sulle corde della vita perché sembra proprio che l’autore abbia intinto la penna nelle sfumature, nel verbo, nella tensione vitale che ci attraversa giornalmente.
Il centro, il maglio sonoro da cui si sviluppa l’intera vicenda è la folle gelosia del re di Sicilia Leonte convinto dell’infedeltà della moglie Ermione. Un tradimento consumatosi con l’amico d’infanzia Polissene, re di Boemia, per cui distrugge il suo matrimonio, i figli e l’amicizia. Ermione, condannata in un ingiusto processo dove il marito tiranno non cede neanche dinanzi alle parole dell’oracolo di Apollo, si difende con grande dignità.
Il tempo trascorre portando con se gesta e azioni dopo sedici anni in Boemia, figlio di Polissene. Florizel, s’innamora di una contadina, ma in realtà è “Perdita”, la figlia di Leonte abbandonata in fasce nella terra del nemico traditore, contrarissimo, naturalmente, alla relazione. I due, con la complicità del maggiordomo, fuggono in Sicilia, dove Perdita scoprirà di chi è figlia e l’orrore della follia paterna. Il mistero è svelato e gli enigmi complessi e allucinati che portava con sé si sciolgono evaporando la tensione che come una coppa ha coperto i lunghi anni di angosciante solitudine del re. Florizel/ Alejandro Bruni Ocana e Perdita/Camilla Semino Favro non più amanti ma presto sposi, inondano di luce e nuova vita le rispettive famiglie, una resurrezione che sembra estendersi al di là della logica comprensione e riportare in vita la regina, semplicemente in attesa di un soffio vitale che restituisca la vita alla vita, un abbraccio che frantuma il dolore solidificatosi in presenza statuaria.
Una tragicommedia dove niente è come sembra, dove comico e tragico convivono in una sintesi che coniuga l’ambientazione favolistica all’operetta e dove aleggia sembra una certa leggerezza sia nell’atmosfera cupa dei primi tre atti sia in quella bucolica degli ultimi due, con le feste campestri.
Quattro atti che corrono sulla lama della tensione emotiva e un quinto in netta contrapposizione dove i risvolti buffi di una commedia intrisa di quotidiana essenza sollevano la sorte. linguaggio shakespeariano e linguaggio moderno per una lettura che rende il profondo sunto poetico popolare.
L’interpretazione, la presenza scenica, la ritmica si fondono e si confondono in una rappresentazione che a volte sembra mancare di quel piglio deciso e coinvolgente che la verità cruda dell’umano sentire mostra quando è portata sul palcoscenico. Bruni oltre che regista attore, nel ruolo di Leonte respira, sospira ma non affonda nel mordente del dramma, la sua voce incontra quella di Cristian Giammarini nel ruolo di Polissene, attivo e più dentro la parte.
La pazzia del potere tirannico sul precipizio della gelosia inscenano il lato più crudele e delirante dell’essere umano, la disperazione spiazzante che ne consegue dipinge il fondale della rappresentazione ma non tanto da catalizzare totalmente la nostra attenzione che apprezza la forza e la partecipazione di Ermione e Paulina (la dama di compagnia sempre fedele, rispettivamente Elena Russo Arman e Sara Borsarelli
In una scenografia quasi assente, bianco per le quinte e lo sfondo e qualche semplice arredo, tutta la compagnia, con vari sdoppiamenti si sussegue, si atteggiano, ridanno al tempo l’espressione e alla forma l’interpretazione dei nostri giorni.
di Antonella Iozzo
© Produzione riservata
(18.02.2012)
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