Intervista a Daniel Berger, ex dirigente del met, inventore del merchandising nei musei.
L’origine del falso nel mercato dell’arte, una storia che viene da lontano.
di Paola Zanuttini
Nel 1980 esce “il nome della rosa” il primo romanzo di Eco. Nel 1981 arriva “I predatori dell’arca perduta” il primo Indiana Jones di Spielberg. Lo spirito del tempo, o d’imitazione, vuole che nello stesso anno Thomas Hoving, mitico e spregiudicato ex direttore del Metropolitana Museum, dia alle stampe “ Il re dei confessori”, ricostruzione dell’acquisto di una preziosa croce istoriata in avorio di narvalo del XII secolo, dalla provenienza eburnea e oscuri traffici, praticamente, un predatori dell’arte perduta in cui personaggi e location sono più avventurosi che in un romanzo. Il giovane Hoving , agli esordi della carriera di cerca tesori per il Met , schiera ogni strategia,lecita e illecita, per battere altri curatori e direttori di musi decisi a tutto per conquistare questa croce dal nome suggestivo: “Il re dei confessori”. Spioni bolscevichi che si riciclano come mercanti d’arte, Caveau svizzeri in cui transitano capolavori e patacche da esportare illegalmente dall’Europa. Distinti connoisseur dediti al contrabbando. Falsari che rivendicano la loro dignità professionale. Un ritratto non proprio lusinghiero del mondo dell’arte. Oggi Nutrimento pubblica il libro nell’edizione aggiornata dall’autore, morto nel 2009.
Falso, vero,arte, mercato, genio,cialtroneria; secondo, che è stato collega e amico di Hoving, la vecchia storia di questa croce ha i suoi spunti di attualità. Berger è l’uomo che si è inventato il merchandising nei musei: consulenti sia del Metropolitan – nel quale, alla fine degli anni Sessanta, ha introdotto questa geniale fabbrica di incassi- che del nostro ministero dei Beni culturali. Dove, nel 1993, fu chiamato con la stessa missione da Ronchey: << Mi propose uno stipendio di 800 mila lire al mese, gli dissi che non ci pagavo neanche i biglietti aerei e lui mi rispose di chiedere a uno dei miei ricchi amici americani, uno di quelli che amano l’Italia, di finanziarmeli. Cosi feci>>. Ora, dal 2006, è consigliere del ministero per il recupero delle opere d’arte trafugate all’estero e ha partecipato alla trattativa per il ritorno in Italia del “Cratere di Eufronio” acquistato nel 1972, non proprio legalmente, dal Met.
Partiamo dal mercato: come si valuta un’opera d’arte contemporanea, che spesso non è concepita per durare?
<<Anche i mandala, e tutta una serie di installazioni ed eventi performativi che ne rappresentano la diretta derivazione, sono creati per essere distrutti dal vento o da una scopa. Credo che applicare il valore economico al valore estetico ed emotivo suscitato da un’opera sia sbagliato. E lo dico nella patria dell’Arte povera, dove prendi un aratro e fai un disegno su un campo che la pioggia cancellerà. Quel che conta in certe iniziative artistiche, come in quelle di Cattelan, non è il prodotto, ma il progetto. Cui si collega il merchandising: delle mura aureliane impacchettate da Cristo sono rimasti bellissimi disegni su carta formato 70 per 100 che la gente ha comprato e appeso a un chiodo sul muro di casa>>.
Quand’è che l’arte ha cominciato a diventare un bene rifugio? C’entra per caso il trasloco dei grandi giri da Parigi a New York?
<<Probabile. E’ successo quando hanno cominciato a girare tanti soldi. E quando i collezionisti hanno iniziato a comprare con lo scopo di rivendere. Il vero collezionista comprava per possedere, non per speculare; al massimo acquistava un Rubens così così e lo dava via per comprarne uno migliore. Il mercato ha preso il sopravvento quando l’arte ha smesso di essere un mezzo di meraviglia e glorificazione della committenza. Religiosa o politica>>.
Per papi, regnanti e nobili l’arte non era un investimento?
<<Non si possono applicare gli schemi di oggi a Giulio II: non chiamava Raffaello o Michelangelo per poi rivendere le loro opere. Il collezionismo è nel dna delle famiglie potenti. Pensi agli zar; per loro era una vera mania e l’Hermitage lo dimostra>>.
Infatti non c’è dinastia industriale che non faccia la sua collezione, magari arronzata.
<< Gli incompetenti di una generazione possono diventare i raffinati di quella successiva>>.
Se non finiscono preda dei falsari.
<< I falsi nascono con l’arte, in certe culture mimare è un omaggio all’artista originale. Nell’arte cinese nel IX secolo, potevi studiare con un maestro, fare un’opera simile alla sua e sottoporgliela: timbrandola, il maestro asseriva che era come fatta da lui. Ho una mia teoria: se un falso è così ben fatto da risultare vero è vero. Ciò non toglie che falsificare è reato>>.
Cosa distingue un falso perfetto da un originale?
<<Le racconto due storie. La prima: molti anni fa vedo in una nota casa d’aste un quadro cinese su seta che rappresenta un cavallo da offrire in tributo all’imperatore. Dico al curatore che è bellissimo e lui mi fa: “ Si, siamo molto fieri” . Gli chiedo se hanno aperto la cornice e lui scuote la testa: “Viene da una collezione impeccabile!”. A quel punto gli rivelo che, se ne vuole altri 2000 li ho allo shop del Metropolitan, è una delle nostre stampe e costa 10 dollari.
Seconda storia: faccio eseguire in una fabbrica dell’Ohio delle riproduzioni di una brocca esposta al museo; ogni esemplare, con il punzone del Met, è messo in vendita a venti dollari. Di lì a poco, mi telefona l’associazione dei vetri storici, protesta perché le mie brocche finiscono all’asta>>.
E lei che cosa gli risponde?
<< Che se non sanno distinguere il mio falso, anzi la mia replica, dal loro vero sono cavoli loro>>.
Il falso più sensazione che ha visto?
<<I guerrieri etruschi alti 3 o 4 metri comprati da Rorimer, il direttore del Met prima di Hoving. Gli etruschi non avevano forni per manufatti cosi grandi. Pare anche che il mondo dei musei sia pieno di disegni fasulli. C’era un americano a Roma che aveva imparato a fare l’inchiostro col mallo di noce e comprava le carte antiche a Porta Portese: non faceva copie, ma nuovi soggetti alla maniera degli autori imitati. Per i furbi, fregare i ricchi e gli esperti è una specie di viagra. Immagino il ghigno di Han van Meegeren, considerato un artista fallito, quando rifilò i suoi falsi Vermeer a Himmler e Göring>>.
Hoving racconta di acquisti pirateschi da parte dei grandi musei: oggi continuano?
<< Le restituzioni del 2006 sono uno spartiacque. L’associazione dei direttori dei musei d’arte americani ha redatto un codice etico per cui non si acquista niente che non sia entrato negli Stati Uniti prima del 1970, data della convenzione Unesco sul traffico illecito, non molto rispettata in passato. Nessun museo vuole finire nella lista nera,anche perché non otterrebbe più prestiti>>.
Così negli Stati Uniti, ma nelle potenze emergenti?
<< Cosa succeda in Cina, negli Emirati o nelle collezioni private mi è oscuro>>.
di Paola Zanuttini
Settimanale Il Venerdì di Repubblica
(29.04.2013)
Bluarte è su Facebook – e su Twitter@Bluarte1
Bluarte è su https://www.facebook.com/bluarte.rivista e su Twitter: @Bluarte1