Carpo e i suoi allievi con la partecipazione di Mauro RossiTesti di Antonella Iozzo e Gilberto Carpo
Artisti: Dolores Avetta, Gilberto Carpo, Salvatore D’Aguì, Samantha Faraglia, Marco Masoni, Michela Mirici Cappa , Silvia Minazzi, Mauro Rossi, Ornella Stefanetti.
Il Postmoderno ha dissacrato la pittura …Noi con la pittura dissacriamo il postmoderno.Gilberto Carpo
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Dove tutto appare perduto la maschera rivela l’incanto Quando la bellezza sfolgora dinanzi a sé il sublime, le anime più sensibili cominciano ad avvertire un suono sotterraneo che diventa sempre più chiaro: allegro con brio, vorticosi equilibri di concetti sostenibili, adagio poco sostenuto con cadenze di assoluto, allegro rapsodico con ritmo alternato di passione e ragione. Una delle pagine più suggestive che l’Arte abbia mai potuto comporre: un concerto in eterno divenire che sviluppa tematiche estetiche ed etiche nelle più infinite variazioni, cadenze che confluiscono nella domanda “ E’ Forse Morta La Pittura?”. Carpo e i suoi allievi con la partecipazione di Mauro Rossi . Una mostra ideata dal maestro Gilberto Carpo, protagonista della scena artistica italiana e acuta personalità intellettuale, presso la Galleria LaborArt di Piedilumera (Verbania) fino al 25 settembre 2011 ed in permanenza su Bluarte. Acuto osservatore delle molteplici declinazioni che assume attualmente l’Arte, Carpo con profondo rispetto, sensibilità ed una giusta dose di provocazione ci induce a chiederci “E’ Forse Morta La Pittura?” L’installazione del presente è forse la “sindone” dell’Arte contemporanea? A noi visitatori e testimoni del reale le possibili risposte. Entrare nell’universo pittorico di Carpo significa entrare, attraverso la tela, in un’improvvisazione teatrale dove la spazialità diviene luogo di intime percezioni tra l’afflato della storia dell’arte ed il sentimento estetico del maestro che, come un calice colmo di gestualità sensitiva, rende visibile la l’intenso mistero che pulsa nell’Arte. Con sensibilità e spessore emotivo accorda la figurazione contemporanea con i lasciti del classicismo. Passato, presente, contemporaneo convivono, quindi, in un urlo che dipinge l’empasse esistenziale ricordando Caravaggio. Sono collage che si aprono su continui piani di lettura , quasi enigmi aperti all’evoluzione dell’espressione. Partiture organizzate su diversi piani spaziali come sequenze di reale dove ogni polarità sensoriale vive di un rinnovato orizzonte costruttivo. In silenzio si prosegue e si scoprono i lavori di Feraglia che sembrano bordare l’introspezione mentre la logica ripiegata su se stessa, sembra trasferire nell’immagine il pensiero libero da ogni reticenza. Le opere, come libere associazioni dell’inconscio,tracciano una coreografica ascesa verso l’ignoto, mentre contenuti indecifrabili, dietro una maschera di apparenza e realtà provocano inquietudine. E’ una danza estenuante che porta lontane verità o che forse racchiude verità soggettive, mentre sul fondale nero l’alchimia dell’esistenza, con la nuda forza primordiale, nasce, perde, si stacca da sé e in un vortice di luce incontra frammenti di desiderio, di irrappresentabile, di sconosciuto. Sulla curva di un notturno carico di poesia, l’estensione di una nostalgia, il ricordo di una passione, il vissuto che vibra nel segno di Stefanetti. Le protagoniste sembrano dialogare con se stesse in uno spazio in cui i sentimenti concorrono a calibrare luci e ombre. Sensualità e vitalismo accarezzano le membra mentre si caricano di una decisa valenza espressiva capace di aggiungere consistenza al contenuto. A volte una lieve intonazione malinconica aleggia sul significativo sviluppo volumetrico, è un realismo che si concede all’immaginario onirico, un incanto che si lascia stillare in gocce di colore e fascinazione. Arte più viva che mai, Arte come linfa vitale che scorre nella plasticità della forma di Minazzi, semplicemente consapevole rappresentazione delle declinazioni della natura. Nuovi sentieri emozionali vengono percorsi dall’impulso creativo di Rossi. Quasi un capriccio del pensiero inconscio capace di dar forma visibile all’invisibile, al sogno e alla memoria che scorre con una sconcertante carica evocativa. Saldando monumentalità e giocosità accosta ricordi intimi e reperti classici come tasselli di uno spettacolo raffinato. Aperture spaziali sembrano proporre inattesi dialoghi tra spazi interni e mondi sospesi, dove giocattoli divengono strumenti dell’immaginazione costruttiva e creativa. Poi, la solennità ferma e stabile della storia dell’arte, ricondotta dentro la contemporaneità come strumento non per fuggire la realtà, ma per frequentarla in modo diverso. Una sequenza d’immagini rende intrigante l’irrompere dell’immaginario di Mirici Cappa, spesso attraversato da echi narrativi e poetici. Con forza lirica e finezza psicologica, l’artista inventa situazioni sfuggenti a inquadrature statiche, che aspirano a cogliere una temporalità non scalfita dalle contingenze. Un eterno rimando impregnato da una forte valenza energetica si apre alla molteplicità del reale, una creazione vicina alla parte impulsiva dell’essere umano che sembra condurre all’incontro con la verità nella caduta di senso che catalizza lo sguardo. D’Aguì sembra scolpire con il colore, mentre attribuisce ai suoi personaggi una sorta di abito eterno che li rende quasi monumentali. Una statuaria che abita la tela, blocchi immobili composti in un’imperturbabile calma ridefiniscono rapporti e proporzioni. Il suo è un repertorio nel quale si combinano, sul medesimo piano età moderna ed età antica, grazie ad una sorta di poesia architettonica molto vicina al silenzio metafisico, alla ragione metafisica, allo sviluppo delle sensazioni in immagini, pittura che scopre i segni dell’universo intorno a noi. Masoni all’interno della materia fisica delle cose riflette sulla forma della sensibilità. Quell’intensa condizione metafisica che accentua il distacco dal presente ma solo per ritornare visione connessa alla vita interiore. Estatica composizione che sussurra un silenzio carico di verità intime e al tempo stesso d’impetuosa, infinita forza. Tensione che sovrasta la costruzione stessa dell’immagine verso il mistero che essa racchiude. È un guardare attraverso peronaggi di arcaici riflessi per ripercorrere gli spazi della mente portati in primo piano come risvegli o confessioni sublimate in pittura. Nella voce della natura l’armonia disegna il sentimento di Avetta. Profonde impressioni, trasporti emotivi e trasalimenti come paesaggi, come gole o scorci, sorgente creativa primordiale. Ogni tela ritrascrive l’evasione immaginativa ma soprattutto l’anima delle rocce. La loro potenza che sembra penetrare in noi, grazie ad uno taglio spaziale capace di scolpire la luce e il nostro io racchiuso nel bozzolo dell’incertezza. Le variazioni cromatiche e l’abilità esecutiva evocano sonorità gravide di essenza primordiale che risalgono le crepe della coscienza dirompendo con la potenza austera dell’immota solitudine. Una mostra come esperienza capace di renderci fecondamente inquieti ed insicuri, che tesse la connessione tra nuove istanze concettuali ed esigenze espressive preludendo a tutto il nostro possesso della realtà che poggia su processi a noi interni e che si esprime con sensazioni e percezioni culminanti nel moto espressivo. Una realtà come compresenza dei forze contraddittorie che iniziano a scontrarsi fra loro, caos, trasfigurazione di pensieri e di pulsioni, che inglobano la forma e caratterizzano ogni fotogramma di tempo con giornali, sacchi e ogni sorta di materiale. Foglie cieche come un velo di silenzio tra l’apparenza della realtà e la sua essenza nascosta da cui nasce quell’ordine che è la vera sostanza delle cose, purissima essenza di verità da cui nasce l’armonia. Solo così, attraverso la pura visibilità la stessa immagine del mondo si apre all’agire artistico indicando una relazione tra l’uomo e il mondo. Dopo, il futuro non sarà più clandestino del passato ma performer nel gesto di ciascun artista. Un progresso dalla confusione alla chiarezza, all’ordine, all’armonia. Istinto della creazione artistica che rientra in quell’aspirazione di Bellezza e verità che correla la visione del mondo e costituisce la struttura dell’opera, figlia dell’arte contemporanea. Luogo supremo dentro il quale fluiscono di continuo idee e sentimenti, situazioni ed intuizioni, stati d’animo e stati mentali, un approdo nell’assoluto, dove il senso della vita sconfina nel bianco della tela. di Antonella Iozzo © Riproduzione riservata
E’ Forse Morta La Pittura ? Ecco alcune considerazioni che abbiamo sempre credute importanti ed assolute,e, inoltre, vere in qualunque momento storico. Cosa si intende per arte? E’ percezione, intuizione e parte razionale, è costruzione tecnica, è intelligenza. Sono elementi che vanno a dipanarsi ed esprimersi in unica sostanza. Forse un’ arte effimera? Certo, un’ arte senza fatica. La confusione totale. E’ forse morta la pittura? Noi non lo riteniamo. Chiunque, voglia farla morire: Artisti, galleristi, critici o storici, sono liberi di crederlo, ma non facciano proclami di morte. A mio avviso si tratta, in altri termini, di ripensare al rapporto fra tradizione e futuro, facendo appello al monito di Friedrih Niezsche;” Ciò che distingue le menti originali non è essere i primi a vedere qualcosa di nuovo, ma il vedere come nuovo ciò che è vecchio, conosciuto da sempre, visto e trascurato da tutti.” In questa confusione, viviamo momenti e situazioni in cui ognuno di noi, suo malgrado,viene proiettato. Sono riflessi di uno stato sociale in decadimento politico, morale e culturale, che denuda da ogni idealità. E’ come se l’arte si rivoltasse su sé stessa, per lasciarsi andare, nella tentazione di annientarsi nell’entropia. L’artista attento, sa vedere gli elementi. Li riordina, ritrova valori formali con impegno di rinnovarli; un armonico equilibrio di percezioni estetiche, una nuova energia di forma e di colore, di composizione, ove l’amore per le cose diventa ancora valore da tramandare. Vi è anche la società mercantile. Il peso della sua pressione. Non possiamo, non dobbiamo permettere che l’arte diventi solo mercificazione, in cui la moda prende il sopravvento. Il mercato rischierebbe così di condizionare scelte estetiche, globalizzandole a scapito di ricerche peculiari. Sono diversi interrogativi che ci poniamo sono riflessioni di uno stato sociale in cui ci troviamo ad operare. di Gilberto Carpo © Riproduzione riservata (11/09/2011) Articoli correalti: Intervista a Gilberto Carpo – Carpo l’esistenza in un solo gesto |
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