Flavio Soppelsa. Il ricordo nel sogno della natura.
Acquarelli su carta, come impressioni in fondo all’anima
a cura di Antonella Iozzo
Nell’afflato del tempo la pittura poetica di Flavio Soppelsa. Una natura lirica e sorprendentemente reale diviene protagonista assoluta dei suoi pensieri, tradotti ed elaborati in delicate vedute, in ricordi sul tocco del pennello. Sono momenti di vita trascorsa nel respiro del vento, gelido soffio che scalfisce la pelle lasciando penetrare gocce di brina sul cuore pulsante di emozioni ferite tra i passi di montagna. Ora, la quiete di paesaggi tersi ma anche ombrosi si lasciano ammirare in leggeri e impalpabili acquarelli, quasi un intimo diario. In queste opere la semplicità dei sentimenti: sogno, malinconia, fantasia sorprendono e commuovono, l’evocazione degli stadi interiori è profonda e trasparente, come se nel segno tracciato vibrasse la linfa degli alberi e con loro tutte le fibre della natura. Con estrema perizia Soppelsa coniuga nelle sue opere il vero, il romantico, il poetico, l’immaginario. Sintesi di visioni che sviluppano il sensibile nella luce dipinta. Nel silenzio della sua particolare quotidianità sedimentano l’esperienza visiva vissute a contatto con la natura, in elaborazioni artistiche uniche. Audaci colpi d’occhio infrangono sulla roccia ammantata di neve o scoprono colline sinuose, verdi e morbide, ma anche fiori e volti familiari, soggetti nei quali riversa l’amore nutrito per anni solo con dolci evocazioni sentimentali. Acquarelli su carta, come impressioni in fondo all’anima, solo così lo stesso paesaggio si rivela ad ogni sguardo diverso proprio perché ogni variazione viene riportata in pittura con l’uso di colori tenui, brillanti, ma anche con velature oscure, un affondo nella verità della vita. Grazie alla purezza, alla semplicità e all’abilità nell’usare le sfumature, i villaggi, il fogliame, i tronchi, i luoghi panoramici sono inondati di luce e di atmosfere leggere e contemporaneamente intense. Con il disegno Soppelsa indaga le ansie più lontane e le trasporta come piani spaziali all’interno della composizione ed i paesaggi appaiano come celebrazioni di bellezza, quella astratta, quella nascosta nelle cose e nella vita e che si mostra lungo i contorni delle montagne tanto care ai suoi occhi. L’impianto risulta leggero, mentre con abilità e delicati movimenti fonde i tocchi in modo uniforme, i soggetti allora, acquistano maggior vigore mentre oltre una velatura che potremmo definire nebbia, gli sfondi si adagiano lentamente come sensazioni tra le sfumature. Il riflesso del ricordo in Soppelsa evoca figure bucoliche, personaggi silenziosi sul proscenio del vissuto, sfuggenti al ritratto ma non al sentimento, essi vivono nella distanza ravvicinata del supporto, spazio interiore sul quale danzano sogni ed evasioni in cerca di un’anima in cui dimorare; sono bambine, spaventapasseri e soggetti ritrovati tra le mura domestiche. Le ombre ora risultano meno dense, la luce sembra fermarsi su un tronco d’albero e piccole macchie cromatiche formano fiori, foglie, erba. Pennellate sfumate, acquerellate, sottili, segnano profondamente, forse in modo sinuoso, l’espressività trattenuta nel vero dell’ispirazione. La stessa che gli permetteva di comporre all’infinito i propri paesaggi, d’improvvisarli, d’immaginarli, di ripeterli sempre dissimili nella loro natura eppure così uniformi nella loro aggraziata eleganza, come per dire un immutabile armonico per intensità ed emotività. Dinanzi a noi appaiono paesaggi solcati con lo spirito, sognanti e sognati, modulati da ricordi reali e di fantasia lirica. Ogni quadro è una trascrizione, ciascuna a proprio modo, di visioni interiori e di evasioni immaginative. Il luogo viene trasfigurato e si identifica con un serie di alberi, con un lago incantato, con un tramonto sublime da cui nasce una nostalgia indicibile. E’ il senso della natura, dei suoi elementi nelle infinite interpretazioni di Soppelsa, artista che usa il pennellocon estrema sensibilità, intingendolo nel silenzio interiore della sua coscienza. Effetti luminosi e senso di temporalità traspaiono da composizioni imbevute dai primissimi chiarori dei giorni, da inquadrature dal basso verso l’alto, impressioni capaci di aprirsi appena sulla scena, di rilasciare una forte emozione e di condurre lo sguardo verso sfondi senza meta, infiniti. Il ricordo diviene dunque uno dei tratti distintivi della sua produzione artistica che associa agli elementi tecnici: profondità, luce, sfumato, ombre, quelli dell’emozione, della trascrizione lirica e poetica dei luoghi e dei momenti vissuti. Ciò che traspare da queste composizioni è innanzitutto il desiderio di Soppelsa di far nascere un’emozione nello spettatore, dato che il sentimento ha per lui la priorità assoluta sul soggetto. L’artista procede sul sentiero dell’esistenza a piccoli passi, lasciando che la verità gli respiri attorno e le suggerisca le forme con le quali tradurre quell’inconfondibile richiamo della vitalità naturalistica impregnata di Arte. Gli elementi del paesaggio quindi vengono prima lasciati plasmare dalla passione e poi ricomposte, divenendo così espressioni che lo sguardo deve ricostruire in forme e volumi, mentre noi riceviamo da subito l’effetto scintillante e vibrante della forza interiore un “non finito” nell’infinito del sentimento. Campi, villaggi, fiumi, pianure, compaiano come la messa in scena di un paesaggio idealizzato da emozioni profonde. Una morbidezza dolce e nobile, una quiete malinconica, una leggerezza vivace si distendono con estrema naturalezza descrivendo la vita che scorre in questi luoghi. All’ombra di alberi ritratti con giusto vigore e movimento, tanto da evocare la loro personalità e persino la loro interiorità, il respiro dell’artista evoca la musica delgesto, una melodia soave che traduci l’impatto visivo delle sensazioni, delle impressioni, dei pensieri suggeriti dal contatto con la natura. Un raffinato trasporto emotivo, quindi, che sulla tavolozza di Soppelsa produce effetti cangianti della luce nello spazio. La freschezza del mattino, i segnali di un violento temporale, il grigiore di un giorno di pioggia, la tristezza della brina invernale, sono queste le danze dell’immenso che sembrano essere dipinti, nella forma e nelle linee, dai movimenti della propria sensibilità, così leggera e disinvolta da apparire come una nuvola rigonfia di intime verità. Tutto trasuda dall’universo poetico ed emotivo di Soppelsa, distesa infinita di variazioni che riverberano dal suo essere come dai suoi cieli tersi e delicati capaci d’inspirare languore e teneri pensieri; ma quando le memorie e i presagi dipingono un cielo in tempesta lacerato dai venti, i moti dell’animo emergono come lampi, squarciano la terra del sentimento e come una pioggia torrenziale straripano nei fiumi della sensorialità percettiva. Flavio Soppelsa e la natura, una comunione di sensi, un dialogo tra le corde dell’interiorità, un’indefinibile pennellata lasciata alla storia come testimonianza di un riflesso di vita.
Ritratto di Flavio Soppelsa Quando la storia di un uomo s’intreccia con gli eventi, quando il suo cammino galoppa tra desideri e realtà, quando gli occhi intravedono nelle nuvole rigonfie di libertà, l’esistenza piegarsi al tragico, solo il mistero della natura accoglie il sensibile che il tempo coltiva. Flavio Soppelsa nasce a Cencenighe Agordino (BL) il 5 aprile del 1920. Umile e schivo vive, sin dalla sua giovane età, il contatto con la natura come una completa immersione nel respiro dell’immenso. A piedi o in bicicletta percorre per chilometri i sentieri montani delle Dolomiti, come il Passo San Pellegrino trascorrendo perfino qualche notte in un fienile presso Cortina d’Ampezzo, come per assaporare la malinconia notturna.
Soppelsa vive in mezzo alla natura , ne sente il richiamo, ne incamera le sfumature, le stesse che in età avanzata elabora in seducenti pennellate artistiche, ma la guerra incombe, aveva 20 anni. Nel 1940 è chiamato al fronte, allievo della scuola militare viene promosso caporalmaggiore e trasferito in Friuli. L’8 settembre del 1943 l’Italia firma l’armistizio, alla comunicazione data per radio, segue quella telefonica del comandante tedesco che confermava di deporre le armi. Un’agitazione, un entusiasmo profondo ed anche un senso di smarrimento lo spingono, insieme a due commilitoni, a fuggire, per evitare di essere arrestato dai tedeschi. Attraversando a piedi il Friuli e il Cadore (nord nella provincia di Belluno) giunge nell’amata Cencenighe Agordino. Nel paese di origine ritrova la serenità interiore e l’amore della sua vita, Angelica che sposa nel 1945 e dalla quale ebbe quattro figli.
La ricerca di un lavoro capace di dare sicurezza alla famiglia lo spinge ad emigrare in Lussemburgo dove vi resta per due anni. Torna a Cencenighe Agordino quando il padre stava spegnendosi, e decide di riallacciare il rapporto con le sue radici abitando nuovamente fra le montagne che lo hanno abbracciato fin dalla nascita. Dopo la morte della madre si trasferisce a Bolzano in qualità di fabbro. Ormai nella terra natia ritorna solo per le vacanze, ma l’autenticità dei sentimenti gli fanno ritrovare il sapore antico delle cose genuine, ascoltare il palpito della natura e in quel battito ritrova, forse, anche se stesso.
Lunghe passeggiate in auto con la famiglia tra le Dolomiti Orientali (Passo Sella, Marmolada, Passo di Pordoi, ecc..) e poi tra i boschi per raccogliere funghi e collezionare minerali, fossili. Una tendenza ad esplorare, a scavare fra la materia terrosa, la stessa che con mirabile poesia riproduce nei suoi quadri. Ed è alla pittura che si dedica completamente negli ultimi anni della sua vita, tenerezza, attenzione per i particolari, trasporto emotivo sembrano guidare la sua mano, mentre dal cuore emerge la voce del passato tra nostalgia e ricordo. Un lascito artistico nel quale traspare il ritratto di un animo sensibile e colmo d’affetto per i suoi cari. Muore il 5 maggio del 2006.
di Antonella Iozzo © Produzione riservata |
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