La modernità futurista
Balla compone sinfonie di luce nella fascinosa realtà fotografica
Milano – “Balla. La modernità futurista” la grande mostra in corso a Palazzo Reale di Milano fino al 2 giugno, racconta trent’anni di Giacomo Balla, dalla pittura figurativa al trionfo delle idee futuriste.
All’inizio del Novecento la modernità avanzava velocemente cambiando in modo radicale la società, solo un Arte nuova poteva esprimere la folgorante audacia che si respirava nella realtà ormai trasformata. L’energia elettrica, il cinema, la fotografia aveva inciso sul futuro dell’Arte sconvolgendone i canoni classici e accademici.
L’ultima esposizione dedicata al grande maestro torinese, ma romano d’adozione, si ebbe nel 1971 alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, un vuoto di 37 anni, colmato egregiamente da questa esaustiva antologica, comprensiva di 200 opere tra oli, tempere, pastelli, acquarelli, disegni, assemblaggi, sculture, fotografie, bozzetti per costumi teatrali, scenografie, moda, saggi di arte postale e manoscritti., esplorazioni uniche ed originali intorno al poliedrico universo artistico di Balla.
Sperimentazione futurista, velocità, dinamismo, impatto fatale rallentato da una sala, la prima, quella in cui Balla compone sinfonie di luce nella fascinosa realtà fotografica e nel poetico accostamento cromatico del divisionismo. Un raffinato piglio pittorico rafforzatosi durante il suo soggiorno parigino, durato un anno, nel 1900, che lo pone a stretto contatto con la ricerca impressionista e post-impressionista.
Al suo rientro, la tela respira di sentimenti, un’indole intimistica si solleva nella nebbia delle problematiche sociali e diviene gesto nella struggente bellezza di impressioni condensate tra l’espressività latente di soggetti, che Balla stesso chiamava “gli esclusi”. “La giornata dell’operaio” del 1904, “Agave sul mare” del 1905, sono sospesi nel tempo, in viaggio verso sfumature di colore intrappolato nella luce sapientemente modulata; sono un mondo a sé l’opera “La Madre”, del 1901, o “Elisa sulla porta” del 1904, sospiri di luce nel magico fascino fotografico, e poi “Affetti” del 1910, che induce a riflettere, a sostare, a parlare con la voce silenziosa emanata dall’opera.
Ma il 1910, fu l’anno della svolta, Severini, Boccioni, suoi allievi, divennero suoi compagni di viaggio nell’ascesa del futurismo. L’opera cardine, non in mostra, “Lampada ad arco” esprime una mirabile sintesi futurista, un lampione con luce elettrica scomposto analiticamente nel colore “uccide il chiaro di luna” citando una celebre frase di Marinetti. Importantissima “Bambina che corre sul balcone” del 1912, qui non solo è dipinta la forma in movimento, ma è il movimento stesso ad occupare tutto lo sfondo creando un ritmo serrato in cui la ringhiera sembra penetrare la figura. Lentamente la velocità conduce Balla alla rappresentazione dell’invisibile, dell’essenza del movimento con astrazioni geometriche in sequenza cromatica, libero virtuosismo in voli planari.
Corpi in movimento, non più identificabili, scie luminose, vortici, spirali, una tensione costante nella traiettoria dello spazio, per rappresentare il mondo moderno è ciò che accade nelle Velocità astratte, qui infatti, il movimento s’identifica con una macchina rombante, “Automobile in corsa (velocità+luci)” del 1912 del Museum of Modern Art di New York, finora mai esposto in Italia, e nel 1914 Balla non poteva sottrarsi alla visone di un evento naturale estremamente suggestivo: l’eclisse, dopo averla osservata dal vero, creò la serie di Mercurio che passa davanti al sole, dimensioni sul limite in spostamenti interiori.
Possiamo definire l’opera di Balla un’arte totale, multidisciplinare che coinvolge l’assemblaggio, i quadri collage di carta stagnola, le carte colorate, le lamiere, la ricerca di superfici riflettenti, le scenografie, i costumi teatrali, fino all’oggetto quotidiano, mobili, arredi, suppellettili. Euforico, entusiasta, nel 1915, insieme a Depero firma il Manifesto della ricostruzione futurista dell’universo
“…. Ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, ….”. Ma l’effervescenza di Balla, intorno agli anni Trenta, andava spegnendosi cedendo il passo ad una nuova generazione di futuristi, anche se la sua energia continuava ad esplodere nel dopoguerra in modo “più umano“ che tecnologico come testimoniano “Forze di paesaggio estivo” del 1917 e “Colpo di fucile domenicale” del 1918, prime versioni inedite ritrovate nel corso della preparazione della mostra, rappresentano la fragranza di un profumo fuoriuscita da un flacone stappato ed un colpo di fucile.
L’opera di Balla non si esaurisce nella propulsione del movimento, il vortice delle sensazioni, delle emozioni, delle scoperte, delle intuizioni geniali, segnano l’esplosione di linee e punti, mappe nell’ascesa del colore, materia tinta con giochi luminosi “compenetrazioni iridescenti”, tutto condurrà verso gli anni Sessanta – Settanta, mentre Giacomo Balla ritornerà alla pittura figurativa, “ Nella convinzione che l’arte pura è nell’assoluto realismo, senza il quale si cade nelle forme decorative ornamentali …”.
Muore a Roma il 1° marzo del 1958.
di Antonella Iozzo © Produzione riservata
14/04/2008
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