Irene D’Antò . Compenetrazioni sensoriali nel disincanto della forma
a cura di Antonella Iozzo
L’ombra del riflesso nello specchio dell’inconscio è la mimesi del sensibile svelata dalla sapienza pittorica di Irene D’Antò. Il reale visibile del suo gesto eleva l’essenza spirituale della materia cromatica e i volti lievitano come anime vaganti nella verità del ritratto. L’antitesi della bellezza, il convergente e il passionale creano un’architettura riflessa dentro lo spazio, dietro, diafane velature tra lirici percorsi della mente, intrappolano il fugace ricordo, diventato adesso icona ritrattistica tra il chiaro e lo scuro, tra la forma e la materia, tra la luce e il buio, luoghi percepiti sul substrato dell’immagine, dove il movimento tellurico tra passato e futuro, si sovrappone in un arcipelago di toni caldi e freddi che esaltano la pennellata della D’Antò. Vita e forma: un flusso continuo di momenti nel momento statico della forma, ciò che era prima e ciò che sarà dopo, ora scorre nel continuo fermento vitale racchiuso nell’unicità del segno dell’artista, pronta a restituirci visioni espressive intrise di luce, cariche di nuova energia e impregnate di consapevolezza: la consapevolezza dell’esistenza. Ma ogni cosa sfiora l’enigma, significati nascosti svelati tacendo; visi, volti, che se a prima vista sembrano essere lo specchio delle emozioni e dei pensieri, in realtà sono la dissimulazione degli stessi. Oblio, romantiche evasioni e crepuscolari visioni interiori dipingono l’atmosfera, mentre la mano, in modo molto raffinato, ne tesse la struttura, interrogativi esistenziali s’intrecciano a difficoltà comunicative e sul limite ultimo compare la solitudine, informe meteora sospesa nell’indefinito. Con uno stile personalissimo, la D’Antò riesce ad esprimere le sensazioni mettendo in scena soprattutto l’anima, un frammento di vita rivelato sottovoce. Il suo sintetismo descrittivo sfuma l’indistinto giocato con i colori, potremmo dire, quasi un nuovo modo di rendere la realtà con la dissonanza dipinta attraverso il gesto. La certezza è un mondo disilluso in fondo agli occhi, sguardi liquidi o materici, dicono, parlano, cercano una via d’uscita per arrivare al cuore delle cose. Sono racconti visivi in cui la forza della passione accresce l’intensità dell’espressione, sono ritratti che non cedono alla scontata superficialità, sono ritratti ripresi nella poetica temporale della realtà interiore, sono ritratti attraenti nella loro estenuante ricerca del paradiso, dentro, fuori, ovunque intorno a noi. Ritratti portati all’estremo, l’innovazione e alle porte, l’oggetto e il soggetto sono l’uno il riflesso dell’altro, gocce nello specchio dell’acqua. Particelle di colore in movimento amplificano l’attimo magico ripreso dal pennello pronto a “scrivere” la storia del protagonista esplorandone le diverse declinazioni. In D’Antò il contemporaneo e le grandi lezioni classiche del passato, che hanno rivoluzionato il genere, vengono reinterpretate con una ricognizione del territorio interiore, una sequenza sperimentale di emozioni e situazioni in grado di riorganizzare la sintassi musicale del silenzio, parla il ritratto nel “tratto” dell’introspezione. E se il tessuto connettivo del ritratto sconfina, irrompe, scardina nella gestualità dell’astrazione, e il segno, a sua volta, nell’estrazione del reale? Trame complesse di un pensiero articolato divaricano la forma ormai sfaldata in filamenti densi, quasi ferite sanguinanti sul supporto, è la consunzione del momento visivo, lasso di tempo veicolante la magnetica percezione della D’Antò. Sonorità evocative implodono nell’atto creativo dell’artista e l’illogica razionalità di un “sentimento protetto” avanza prepotentemente verso l’informale. Fratture fra le forme e delle forme trascendono dentro la materia umana aprendo un’infinità di possibili orizzonti sul finito senso di abitare la …forma. La fisicità del soggetto esprime, evoca, scrive il primordiale trasfigurato in essenza viva estremamente sensibile, un’elegia che non solo rilascia la musicalità del canto, ma trattiene le sensazioni più labili, le impressioni più fugaci, i palpiti più frenetici dell’universo. Queste creazioni travalicano il tempo e lo spazio, divenendo architetture oniriche dilatate nell’immensità della natura. Una vigorosa trascrizione della realtà che supera il tentativo di nascondere lo sfondo malinconico o il tono ribassato di un’inquietudine, per esprimere tenacemente il ritmo dettato dalle suggestioni che colpiscono dall’esterno l’ispirazione della D’Antò; proiettili impazziti provocanti squarci lancinanti, dove la pulsione interiore si raggruma e trova la sua forma in un fiore rapito alla notte, stami che tengono da soli la scena affidando l’impatto al colore acceso. Lieve ed etereo sembra non contenere nulla di drammatico eppure, sotto il suo strato epidermico, scorre linfa intrisa di verità disincantate. Sono composizioni spostate in avanti, che proiettano frammenti di memoria colte nella loro degenerazione formale, un collasso verso l’irrazionale. Torbida poesia tra i fantasmi della mente, eccessivo, stravagante dialogo tra immagini, una metamorfosi di elementi in simboli. Nell’eleganza del gesto, la poetica dell’artista trasforma la materia pittorica in una potente carica espressiva, un eterno flusso di tempo che cade e accade su tela. In questa profondità blu ricca di armoniche assonanze, nudi femminili disegnano la geografia di luoghi naufragati sugli interstizi dell’anima, il disegno è una linea che serpeggia tra il desiderio e la volontà di abbandonare l’approdo. La via di fuga si apre dinanzi alle pieghe voluttuose del corpo, e i nostri occhi, persi nel buio dell’angoscia, trasformano in distorsioni del pensiero erotico, il nostro tormento ormai alla deriva. Quello che avvertiamo è una musica aritmica, atonale, cruda, spigolosa, tagliente, ma la D’Antò ne tramuta ogni nota in un andamento melodioso e oscillante: fa il suo ingresso un nuovo elemento artistico: i video, nei quali si crea un vibrante movimento pantomimico. La musica non è solo colonna sonora ma è materia sulla quale e intorno alla quale si sviluppa l’azione. I tempi forti e le entrate accordali di un brano musicale, attraversano il flusso di scorrimento, le immagini e il suono si muovono all’unisono in una sorta di dissacrazione “gioiosa”: dilatazioni, concentrazioni, frantumazioni e ricomposizioni rievocano le movenze originarie, qualora ci siano, ma soprattutto rielaborano l’eruzione magmatica dell’ispirazione in un invertebrata mescolanza di stilemi eruttati in micro – particelle di vita. Relazioni invisibili in perfetto equilibrio musicale, perché la musica dell’Arte traccia l’immagine del “mondo altro” alieno alla storia, all’orizzonte i confini della forma sovrastano l’immensità dell’universo artistico di Irene D’Antò. di Antonella Iozzo © Produzione riservata
( 19/07/2008) |
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