Italics
Più di 100 artisti per quarant’anni d’Arte italiana
Venezia – La mostra “Italics”, Arte Italiana fra Tradizione e Rivoluzione 1968 – 2008, in corso fino al 22 marzo 2009, presso Palazzo Grassi – Venezia, a cura di Francesco Bonami, è la sintesi estrema di un concetto complesso.
Più di 100 artisti per quarant’anni d’Arte italiana, una speciale rilettura attraverso le loro opere che ci consente la codificazione di un linguaggio molto più lontano di quanto appaia, un linguaggio confluente nella traduzione di forme estetiche coincidenti, relativamente, con un pensiero poetico, con la cultura, con la società di ieri, di oggi e chissà forse anche con quella del domani. Forme come forze d’urto di una tensione che dal concettuale scende nell’informale, rilascia frammenti figurativi, penetra il razionale, la costruzione, l’infinito, abbraccia, poi, l’arte povera e conversa con il visionario e l’inquietante. La rivoluzione compie i suoi gesti per mantenere la tradizione dell’Arte italiana. Italics pone domande, interroga, indaga sul perchè molti artisti sono rimasti ancorati alla penisola, forse quella capovolta di Fabro, senza mai riuscire a capovolgere la loro situazione ed emergere in campo internazionale. Italics non trova e non vuole risposte tanto meno banali, di circostanza o peggio se rifusi politici – filosofici, vuole invece, far riflettere, vuole portare l’occhio dello spettatore nella cognizione spazio – temporale di Castellani, nella realtà bruciata di Battaglia, nella poetica della natura di Penone, nella spettacolarità poliedrica di Ceroli.
La mostra non è stata strutturata per seguire un percorso cronologico, ma per creare interrelazioni e rimandi, un confronto aperto al dialogo, lo spettatore sembra divenire l’intermediario tra i rilasci emozionali della tradizione rivisitata e i commenti logici sulla avanzamento della rivoluzione, e, così, ogni proiezione video diviene in noi una sequenza sensoriale subito posta davanti all’obiettivo di Mulas o Avigdor, scatti che colgono nel fuggevole la luce dell’intuizione pronta a rivestire la nostra percezione proiettata nell’ambiente spaziale di Fontana, avvolti dallo spazio ne assorbiamo la dimensione resa cosmica dai tagli. Un labirinto di situazioni in movimento, se reale o illusorio, è una questione di punti di vista, quelli di Alviani ci pongono direttamente nella sua “Interrelazione cromospeculare”, ma se dobbiamo interagire con l’opera, Tuttofuoco è pronto a trasportarci in un viaggio emozionale e sensoriale, sul filo della memoria introspettiva, perché in fondo, evocare è una ricerca che ci porta direttamente sulle sponde del domani.
Tanti nomi in mostra tanti rimasti fuori, su tutti, critiche, commenti, opinioni, ma questa è la realtà tangibile di ogni mostra , quella che fa discutere e che diviene protagonista, più della mostra stessa, sulle copertine patinate delle riviste. Presenti, esclusi e curatori, la musica non sempre è una sinfonia di bianchi; ogni curatore deve fare delle scelte, seguire una linea guida svincolata dal parere critico personale ed in assoluta armonia con il progetto; Bonami ha seguito un itinerario, ha scelto una sua linea in perfetta coerenza con la responsabilità di un curatore, come infatti afferma: “questa è una mostra fatta da un curatore e non da un critico. Il curatore deve provare a costruire una storia, anche se personale, ma non può eliminare del tutto determinate cose, certo alcuni artisti non ho ritenuto fossero essenziali dal punto di vista curatoriale alla mostra ma non dal punto di vista critico”.
Si può essere d’accordo o meno, comunque sia, la mostra è una stratificazione di sedimenti culturali e sociali, un universo di archeologie contemporanee nella testimonianza della rappresentazione artistica, una rielaborazione del vissuto non troppo distante dal domani incamerato, una memoria troppo attiva per divenire ricordo intrappolato dal tempo. Recepire e reagire com esseri pensanti ci pone dinanzi ad un luogo sospeso fra la ragione e l’irrazionale impulso della provocazione, saperci stare in mezzo è la condizione necessaria per percorrere le sale espositive godendo della bellezza delle opere.
Distorsioni di segni e arte programmata, tutto in una mostra che irritisce davanti al cadavere sepolto di Cuoghi, ritrova l’immagine della storia dell’arte nella metafisica di De Chirico, avverte la certezza di aver fatto storia con Pistoletto, Vedova, Burri, Gnoli, risplende nella luce al neon con Moro e si addentra nel mistero con De Dominicis.
Tra rivoluzione e tradizione nasce Italics l’ arte italiana s’incontra a Palazzo Grassi.
di Antonella Iozzo © Produzione riservata
01/10/2008
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