Renè Magritte
“Etre surréaliste, c’est bannir de l’esprit le ‘déjà-vu’ et rechercher le ‘pas encore vu'”
Magritte è surrealista, estremamente surrealista tanto da risultare scomodo al surrealismo
L’Assassin menacé
Bruxelles – L’Assassin menacé di Rene Magritte dal MOMA di New York, al Museo Magritte di Bruxselles che su oltre 2.500 metri quadri ospita la più grande collezione dedicata al pittore surrealista belga: 220 opere su un totale di 1.700 lavori sparsi tra collezioni pubbliche e privati di tutto il mondo.
Dal 6 settembre più di 580.000 visitatori hanno varcato la soglia del Museo Magritte per ammirare L’Assassin menacé realizzato nel 1927. Fino al 2 gennaio 2011 questo straordinario capolavoro ha affiancato “Il Giocatore segreto” con il quale forma un dittico. Sono tra i dipinti più importanti di Magritte, sia per il soggetto sia per le insolite dimensioni. Il soggetto sembra essere stato ispirato da una delle cinque poesie di Paul Nougé raccolte sotto il titolo di “Painted Pictures”.
L’atmosfera è sospesa: una donna nuda morta si trova stesa su un letto, l’assassino è ancora presente nella stanza il suo sguardo è rivolto in modo indifferente al giradischi. Veste in modo elegante e i suoi modi borghesi contrastano con la brutalità della azione che ha appena commesso.
Dietro di lui tre uomini lo spiano da una finestra, in primo piano due figure identiche, quasi speculari, gli tendono un agguato.
Solo un istante è necessario, perché tutto ciò avvenga, perché l’azione interrompa d’improvviso la quiete. Magritte fissa l’attimo di quiete, ma ci lascia intuire ciò che avverrà. Evoca la sospensione, l’attesa, il silenzio.
Nougé ha consegnato al suo amico pittore uno scenario dettagliato che aderisce perfettamente alle falde della psiche che Magritte intende sviluppare: il gusto per la complessità del crimine, la fascinazione per l’ inconscio, la sessualità silente che lega il corpo nudo, insanguinato alle elucubrazioni erotico mentale. Incanto poetico sulla realtà, sull’atteggiamento pensoso dell’assassino che mentre ascolta la musica mostra tutta la sua umanità. Anche lui vittima di se stesso e di questo mondo, che inconsapevolmente o volontariamente ci guida verso l’annientamento.
Magritte, sogni e ricordi
Nulla è più lontano dalla realtà quanto una reale visione dell’anima allo specchio.
Nulla è più lontano dall’irrazionale quanto l’inconscio razionale di Magritte. Percezione sensoriale, frantumazione dello spazio, dilatazione del tempo. Al di là della mente, nell’estrapolazione arcaica di segni che rimandano al sensibile, tutto a un senso. Surrealistica introspezione dell’io nella conflagrazione di arte, filosofia e psicoanalisi.
Il corpo, tempio dell’essere acquista valenza simbolica e l’astrazione dell’anima prende forma.
Renè Francois Magritte nasce nel 1898 a Lesines, in Belgio, monarchia indipendente dal 1831.
Non amava le biografie, la vita di un’artista, secondo Magritte, sta nelle proprie opere che la devono smentire.
Una vita imperniata sui ricordi è presagio di una esistenza persa è l’immagine del passato in una proustiana ricerca del tempo perduto.
Il pensiero froidiano, riconosce la presenza dei ricordi nel lavoro della memoria e in Magritte l’affermazione dello psicoanalista J.-B. Pontalis assume il suo pieno significato:
Essi non emergono dal passato remoto ma si formano in tarda età. La nostra memoria è una finzione retroattiva, retroattivamente anticipatrice, che appartiene a pieno titolo al regno della Phantasia”.
Il ricordo vive nell’inconscio, Freud ne percorre i labirinti, ne scandaglia il territorio, mettendo a nudo paure, ansie e desideri.
Intime rivelazioni emergono dalla profondità dell’animo umano in riflessi di un vissuto inesplorato, enigmatico e visionario.
Nell’inconscio, l’illogico incontra il ricordo e ne scaturisce l’iconografia sequenziale d’istanti cristallizzati nella nostra memoria emotiva.
Appare, allora chiaro, come il tema costante della pittura di Magritte, si risolva in un segmento di ricordo legato alla morte della madre.
Nel 1912 infatti, la madre viene trovata annegata nel fiume Sambre, con la testa avvolta da una camicia da notte.
Il ricordo della camicia da notte che copre il volto, ritorna come un leit motiv in moltissimi lavori di Magritte. (L’historie centrale e i volti degli Amanti del 1928) .
Dall’Accademia al Surrealismo via Metafisica
Nel 1916 s’iscrive e frequenta l’Accademia di Belle Arti, conosce poeti e letterati dell’avanguardia di Bruxelles come Pierre Bourgeois e Pierre Louis Floquet, dipinge quadri di ascendenza cubista e futurista. Il suo è un percorso di ricerca, d’introspezione, di conoscenza di se stessi. Un’indagine a più voci dove ogni singola sfumatura, ogni timbro vocale viene modellato in un’orchestrazioneraffinata e velata di mistero. Ma è la conoscenza di De Chirico e in particolare del suo quadro metafisico, Canto d’amore, di cui il poeta Marcel Lecomte gli mostra la riproduzione, a imprimere nella sua poetica una svolta fondamentale, tanto da ricordare, molti anni dopo: “Nel 1910 De Chirico gioca con la bellezza, immagina e realizza ciò che vuole: dipinge il Canto d’amore, in cui si vedono riuniti un guanto da boxe e il viso di una statua antica. Dipinge Malinconia in un paesaggio con alte ciminiere di fabbriche e muri infiniti. Questa poesia trionfante ha sostituito l’effetto stereotipato della pittura tradizionale. È una completa rottura con le abitudini mentali proprie degli artisti prigionieri del talento, del virtuosismo e di tutte le piccole specialità estetiche. È una nuova visione nella quale lo spettatore ritrova il suo isolamento e intende il silenzio del mondo”.
Il linguaggio metafisico, la pittura metafisica, l’universo metafisico, avvolge e affascina Magritte.
Atmosfere indefinite nella sospensione dei suoi temi, echeggiano tra l’apparenza e la realtà. Immagini che sono mistero, trame impossibili, contenuti indecifrabili, illogici accordi sequenziali, provocano inquietudine, sgomento, timore verso l’ignoto. Soggetto e oggetti, in apparenza senza nessuna relazione fra loro, sembrano vagare nello spazio, emergere dallo sfondo e soffermarsi sulla soglia per indicare vie sconosciute. Costruzioni e decostruzioni, architetture della mente, piani estremi dove le piazze, gli spazi aperti e gli orizzonti alla De Chirico, s’innescano con le presenze metafisiche dei luoghi dello spirito.
Contrasti, proporzioni e sproporzioni, pieni, vuoti, zone d’ombra e masse dense che, se da un lato creano incoerenza visiva, dall’altra generano atmosfera nello spettatore. Un eterofonia di sfumature, di suoni e richiami verso il surrealismo.
Il Surrealismo nacque nel 1924, teorico del gruppo fu soprattutto lo scrittore André Breton che ne redisse anche il Manifesto. Secondo Breton, il sogno rappresenta gran parte dell’attività del pensiero umano. Solo conciliando i due momenti, quello della veglia e quello del sogno possiamo giungere ad una realtà superiore (appunto una surrealtà).
Una considerazione che porta Breton a definire così il Surrealismo:
“Automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato dal pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale.”
Molti furono gli artisti che aderirono o che si avvicinarono al surreliasmo, Ernst, Mirò, Dalì, Savinio, De Chirico, tutti riuniti nella Scacchiera surrealista di Breton.
Le caselle di una normale scacchiera da gioco, sostituite con le fototessere degli amici surrealisti. Nata nel 1934 da un’idea di Man Ray, la scacchiera mette insieme, chi surrealista lo è stato da subito, chi fù espulso dopo il primo anno ,come Dalì e chi non ha mai aderito formalmente, come Giorgio De Chirico. Nessun gioco può rappresentare il surrealismo come gli scacchi, la partita tra Duchamp e Man Ray, in una terrazza, nel film surrealista, Entr’acte, di René Clair, ne è la sintesi perfetta. Lo stesso Magritte era appassionato di scacchi tanto da dedicare molti quadri all’argomento, Le jockey perdu, del 1926 (uno dei suoi primi quadri surrealisti) e Scacco Matto, del 1937.
Il senso e il non senso
Nel senso di esistere è imperniata la condizione umana, trovare un senso logico, concreto, corrispondente al vero, al trascendente è bisogno primario dell’uomo. La continua ricerca di un equilibrio tra il sé e l’esternazione del sé, si configura in una parabola tra etica e utopia, come quintessenza del pensiero per scorrere tra la linfa del mondo. Ma dietro l’apparente tranquillità delle cose c’è il sogno, il presagio, lo spirito, il surrealismo e lo spostamento del senso.
Il surrealismo non nega la realtà, la trasfigura, questo disorienta, sconcerta, inquieta, induce al mistero, all’enigma più dell’astrattismo.
Fondamentalmente i principi basilari sono due: gli accostamenti inconsueti e le deformazioni irreali. I primi, spiegati da Max Ernst come “accoppiamento di due realtà in apparenza inconciliabili su un piano che in apparenza non è conveniente per esse”.
Per libera associazione di idee si uniscono oggetti e spazi che non hanno niente in comune, distanti fra loro e appartenenti a contesti diversi. Ne risulta una visione di bellezza inedita, assurda, al limite del concepibile quasi, a voler frantumare le nostre certezze. Le seconde nascono dalla metamorfosi. Corpi, oggetti, forme rivelano la nature delle cose nella loro trasformazione in qualcos’altro. Caducità di uno stato transitorio che suggestiona la mente, suscita sensazioni sospese tra l’apparenza della realtà e il suo profondo, e induce a riflettere sul divenire comprensibile e l’onirico, il mistero, l’impenetrabile. La trasformazione della foglie in uccelli ne Le grazie naturali, 1963, di Magritte, è dialogo allo stato puro, dove nessun parametro logico viene rispettato, la visione supera la realtà, si stacca dalla sua crosta e vive libera da vincoli e da limiti.
Magritte è surrealista, estremamente surrealista tanto da risultare scomodo al surrealismo. Sia perché il suo ostinato isolamento belga lo tiene lontano dal fermento parigino, sia perché la visione, acquista sempre più spessore, valenza autonoma e importanza fondamentale, superiore e al di là della realtà. Un percorso solitario all’interno di un movimento eterogeneo, che provoca nel 1929 la rottura con l’amiciza di Breton, quando decise di tornare in Belgio, ma già nel 1934 è il quadro di Magritte Le viol a fare da copertina al libro di Breton, Qu’est-ce que lesurréalisme?
Il pensiero visibile
“Importante nella mia pittura è ciò che essa mostra.” Questa semplice affermazione riassume le evidenti diversità che contraddistinguevano la sua opera da quella degli altri esponenti del surrealismo. L’opera ha vita propria, svelarne l’invisibilità equivale a coglierne il senso. Per Magritte il mondo delle idee vive nelle visioni e il suo stile pittorico, riporta nelle immagini, la naturalità della magia, del pensiero, dell’invisibile, eludendo ogni artificio, dalla teatralità della metafora e della metamorfosi di Dalì, alla prolificazione dei fantasmi desertici di Tanguy. Come il soffio del vento solleva il pulviscolo, la pittura solleva il sapere. Quindi non più gesto pittorico inteso esclusivamente come abilità tecnica, ma trasmissione del pensiero attraverso un piano estetico. Il pittore, oltre a saper pensare deve far pensare. Ne risulta un’immagine strettamente collegata al pensiero, un’immagine che è pensiero. La sensibilità all’interno della materia, le cose fisiche divengono, quindi, il tramite dell’invisibile e di conseguenza il pensiero divine visibile grazie al pittore. Nel pensiero visibile gli oggetti sono denudati dal nostro significato intrasoggettivo e si scopre la magia, intesa come volere, potere, entrare in tutte le forme, in tutte le identità senza dimorare in nessuna, dal termine “mogen”.
L’universo si schiude sotto i nostri occhi è l’impossibile, l’inspiegabile, l’assurdo, l’ipotetica visione onirica appare con la più disarmante naturalità nel mistero del surreale. Davanti a opere come La grande famiglia, allora è logico chiedersi: sono le nuvole a farsi colomba o viceversa? Ma per un’altra grande opera La firma in bianco è lo stesso Magritte a risponderci: “Le cose visibili possono essere invisibili. Se qualcuno va a cavallo nel bosco, prima lo si vede, poi no, ma si sa che c’è, nella Firma in bianco, la cavallerizza nasconde gli alberi e gli alberi la nascondono a loro volta: Tuttavia il nostro pensiero comprende tutte e due, il visibile e l’invisibile. E io utilizzo la pittura per rendere il pensiero visibile.”
Il pensiero visibile in immagini attraverso le quali l’artista intravede il possibile, il tangibile, il non senso. Composizioni che rimandano oltre l’apparenza delle cose e racchiudono, nella loro solenne integrità surreale, le poetiche sfumature del mistero e del canto del cigno come ultimo avamposto della mente. Ma anche la magia, l’appartenenza alla non forma, evocatrice di atemporalità e di spazialità sovrapposte. Incredibili visioni, traslate da ragionamenti filosofici, che semplificano il senso e trascinano la realtà esterna dentro il pensiero visibile. Lo spostamento del senso avanza e l’opera Golconde diviene esistenza surreale sospesa nell’infinito.
In un ipotetico non luogo della mente, avanzano solidi palazzi dall’architettura belga, la realtà è più vicina di quanto si pensi ma si frantuma all’orizzonte quando, la trasmigrazione del reale tocca le vette del pensiero visibile e il mistero sfugge a ogni regola e a ogni certezza cognitiva. Fedele alla sua natura enigmatica induce a riflessioni sulla profondità interiore celata dietro le inquietudini dell’ignoto, i turbamenti del ricordo e le sensazioni del sogno. Il pensiero tesse la sua tela su una superficie dove il vero e il reale hanno lo stesso spessore delle cose della realtà. Su questo bordline l’artista intreccia i tasselli di vari stimoli creativi scolpendo nella più fluida e nitida poetica dell’inconscio figure svuotato di anima e di spirito fermate in un tempo indefinito. Appaiano così gli omini in soprabito e bombetta rivolti tutti verso lo spettatore. Giochi d’ombre improbabili, di uomini che avanzano come la pioggia nella sua nella perenne stabilità di movimento, tutto nella sospensione assoluta di uno spazio metafisico per una visione surreale al limite dell’astrazione.
Arte e filosofia
Arte e filosofia, significati nascosti, giochi di rimandi, dissonanze di pensiero, trasparenza del percepibile, scivolamento nella consapevolezza, limiti sfiorati dall’esistenza, visibile e invisibile. Magritte è strettamente legato alla filosofia e in particolare a Nietzsche, le sue opere sono idee che prendono forma e trasmigrazione di forme in sensazioni. Sorpresa, turbamento, antitesi, paradosso e il non senso, rivoluzionano gli schemi mentali e il pensiero rimane sospeso nell’intelligenza del dubbio. Nietzsche è il filosofo che più di tutti influenza Magritte. Entrambi utilizzano lo smascheramento del reale e la metafora per la rappresentazione del pensiero. La conoscenza, quindi, appare come fonte di luce e di chiarezza per un universo in perenne ricerca della verità e prigioniero delle proprie convinzioni.
Sintesi di alcuni passi di “ Zarathustra “ o della “ Gaia Scienza “ in visioni sovrapposte non combacianti, immagini che generano perplessità, ma sfiorano le corde dell’anima e traducono il suo suono nella trasmigrazione sensoriale del pensiero in forma. L’arte figurativa ha, cosi dato un’epidermide al senso o al …………… non senso.
Non tutti i pensieri giungono a completo compimento, ma ogni loro frammento è cellula germinale allo stato puro, è concentrazione di energia cosmica e bozzolo luminoso. La fluidità incorporea della poesia c’e ne fa assaporare la gioia stimolando il desiderio d’afferrare il sublime nella sua inafferrabilità. La gioia del non senso è sospesa nell’arbitrarietà degli eventi, come vitalità repressa emerge quando la situazione si capovolge, quando l’utile diviene inutile e la costrizione si allenta senza recar danno alcuno. Solo allora siamo capaci di gioire e di sentire il soffio libero del riso e della felicità camuffata da spavalderia. È la gioia portata all’estremo come la gioia degli schiavi nelle loro feste saturnali.
Nel La lampada filosofica del 1936, pochi elementi evidenziano la relazione che intercorre tra filosofia, pensiero, conoscenza. Una candela serpentina ( la conoscenza) e una testa che fuma se stessa ( il pensiero filosofico concentrato su se stesso) sono la rappresentazione ironica del sapere intesa come salvezza come illuminazione spirituale.
Magritte nel linguaggio di Saussure e Foucault
Magritte, Saussure, Foucault e il linguaggio della filosofia per un percorso semiotico nella filosofia del linguaggio. Il quadro Ceci n’est pas une pipe del 1948 è un sunto molto esemplificativo del trattato di Saussure “Corso di linguistica generale”.
Rivela, in una visione molto chiara, la frattura tra il mondo dei segni e il mondo della realtà. Ciò avvalora la tesi dell’arbitrarietà dei segni, vale a dire, significato e significante hanno un rapporto del tutto soggettivo, la relazione quindi, che intercorre tra il segno e la sua rappresentazione, non solo frantuma la consapevolezza, più o meno, intrinseca in ognuno di noi, della scissione tra il linguaggio e la realtà, ma diviene la negazione di se stessa. Le parole inserite nell’opera, provocano, infatti, una rottura strutturale introducendoci nel mondo del mistero e dei sogni, dove immagini e realtà, leggere e guardare, non coincidono ma scivolano su sponde diverse e le situazioni più banali, così, si trasformano nelle più sconvolgenti
La chiave dei sogni è il paradigma dell’associazione inaspettata, dove l’incoerenza crea uno stato dissociativo nelle nostre abitudini mentali, e ci invita a riflettere su quanto i codici , i segni e la loro arbitrarietà influenzano il nostro modo di vedere e di percepire la realtà.
Foucault il filosofo con cui Magritte intrattenne più rapporti, anche tramite corrispondenza, scrisse un saggio intitolato proprio Ceci n’est pas une pipe, in cui analizza i quadri dell’artista. Foucault, considera quest’opera un calligramma, in cui però, Magritte, ne provoca la frattura interna.
Nel calligramma la cosa di cui si parla e la disposizione dei segni che ne formano il testo combaciano perfettamente, quindi leggere e guardare coincidono. Ma in questo caso fra le due attività si sviluppa un potenziale conflitto, la lettura smentisce la cosa guardata. I due parametri , leggere e guardare, adesso vivono in autonomia e la negazione del rapporto biunivoco si rispecchia anche nella realtà.
Molto interessante è il carteggio tra Foucault e Magritte, quasi una corrispondenza precisa tra le ricerche dei due pensatori. Sotto esame parole come somiglianza, similitudine, contesto e il mondo reale, perché dove tutto è apparenza e la somiglianza si confonde, in un gioco di riflessi e di opposti, con la similitudine, il pensiero visibile e l’invisibile si alternano in immagini che disorientano la mente ed evocano il mistero e il contesto sfugge all’immaginario tangibile.
Così Magritte su Le mots et le choses di Foucault, nella lettera del 23 Maggio 1966:
“Le parole Somiglianza e Similitudine le consentono di suggerire con forza la presenza, assolutamente estranea, del mondo e di noi stessi: io credo nondimeno che queste due parole non siano abbastanza differenziate e che i dizionari non siano abbastanza costruttivi circa ciò che li distingue.(…) Le “cose” non hanno far loro somiglianza, ma hanno o non hanno similitudine.
Solo il pensiero può essere somigliante. (…). Il pensiero è invisibile, come il piacere o il dolore. ma la pittura fa intervenire una difficoltà: c’è il pensiero che vede e può essere descritto visibilmente (…) L’invisibile sarebbe dunque talvolta visibile? Sì, a condizione dhe il pensiero sia costituito esclusivamente da figure visibili. in proposito è evidente che un’immagine dipinta, che è per sua natura intangibile, non nasconde niente , mentre il visibile tangibile nasconde immancabilmente un altro visibile, se vogliamo credere alla nostra esperienza.
Ciò che non manca d’importanza è il mistero evocato di fatto dal visibile e dall’invisibile, e che può essere evocato di diritto dal pensiero che unisce le “cose” nell’ordine che evoca il mistero.”
Nella stessa lettera Magritte allega, per avvalorare quanto scritto, le riproduzioni del quadro Perspective: Le balcon de Manet, che è una variante de Perspective: Madame Récamier de David. In cui le figure umane sono sostituite da bare. Alle richieste di spiegazione da parte di Foucault, Magritte risponde così, nella lettera del 4 giugno 1966:
“Ciò che mi ha fatto vedere delle bare là dove Manet vedeva delle figure bianche è l’immagine presentata nel mio quadro, dove la decorazione del “balcone” era adatta a situarvi delle bare.(…) Credo che si debba notare che questi quadri intitolati Perspective rivelano un senso che i due significati della prospettiva non hanno. Questa parola e le altre hanno un senso preciso in un contesto, ma il contesto, come lei dimostra meglio di qualunque altro ne Les mots et le choses, può dire che nulla è confuso, tranne la mente che immagina un mondo immaginario.”
Oltre Magritte
L’esistenza svanisce nelle certezze, la consapevolezza consacra la conoscenza come salvezza universale, i pensieri sono reminiscenze di un sapere che ci conduce nell’ordine armonico delle cose. In una fredda e razionale architettura mentale la voce silenziosa dell’inconscio provoca crepe, fratture, sgretola solide quanto effimere costruzioni del vero e del reale. Il senso del non essere appare come fantasma dell’esistenza e l’inquietudine lascia la sua traccia nell’invisibile grafica dei segni dell’anima. Magritte ne afferra il pulviscolo sonoro e lo traduce nel riflesso della dissoluzione quotidiana nella misteriosa visione di se stessa. Il vissuto presente si ferma sulla tela in un eco dell’inconscio che appare con il suo linguaggio carico di simboli. Il gioco prosegue in immagini come corrispondenze con un futuro già visibile nella luce di un sapere che dispiega le ali verso il senso delle cose nell’enigmatica limpidezza della realtà. Una realtà come senso del presagio, è l’opera Chiaroveggenza, 1936 Magritte rappresenta non solo se stesso nell’atto di dipingere ma anche il processo spirituale intrinseco all’arte: un processo di trasformazione oltre il vincolante e l’apparente staticità delle cose. L’uovo è il soggetto, ma l’opera dell’artista fa sì che sulla tela sia già un uccello.Magritte sopravvive a se stesso, vive nella sua arte e l’arte vive di quella lucida visione onirica, di quella poetica forza misteriosa, di quella estetica percezione sensoriale che traccia la sua traiettoria tra le correnti artistiche successive, come la pop art e l’arte concettuale. Da qui, si svilupperanno, negli anni sessanta e settanta, tutti i parametri che Magritte ha svelato, con la sua genialità enigmatica e sensitiva. L’arte concettuale abbandonerà poi, la pittura, la pop art assumerà la poetica di Warhol, Rauschenberg e Oldenburg, ma hanno entrambi un comune denominatore: l’oggetto attraverso un piano estetico che lo denuda dalla funzionalità. Gli oggetti, quindi, regnano incontrastati e la presenza dell’uomo appare solo attraverso la sua forma temporale. Uno sguardo sull’arte per carpirne il senso e dar vita a un pensiero visibile, terza dimensione dell’esistenza.
Una dimensione nascosta che Magritte riporta in superficie anche attraverso Fantomas, l’incarnazione del mistero, del doppio, della contraddizione e della trasgressione. Un personaggio in grado di ricomporre, secondo una propria logica intuitiva, i frammenti di un mondo perso, svuotato e intrappolato nelle sue regole e nei suoi significati. Per Magritte, Fantomas è l’eroe, è colui che crea la storia e ne tesse la trama con accordi perfettamente incatenati nel sottile gioco del lirismo enigmatico. Magritte ne ha ricomposto l’essenza in opere cariche di quella irrealtà siderea, che accompagna il silenzio e da dove traspare l’indifferenza di quel sapere non sapere sospeso nei sogni.
Nel dominio dell’avanguardie Magritte è l’artista della profonda visione dell’essere , è colui che ha posto di fronte all’opera l’intelligenza che gli assicura la visibilità del pensiero, è l’onirico nella configurazione libera del sapere.
Magritte in Breve
1898 – René Francois Manritte nasce il 21 Novembre a Lesines,nella provincia di Hainaut in Belgio.
1912 – Muore la madre. Il suo corpo viene ritrovato nel fiume Sambre con la testa avvolta in una camicia da notte.
1913 – A Charleroi dove si trasferisce con il padre e i due fratelli, conosce Georgette Berger, sua futura moglie. Compie gli studi liceali, frequenta corsi di disegno e pittura e si appassiona ai film di Fantomas di Teuillade.
1916 – S’iscrive all’Accademia di Belle Arti di Bruxelles. Ha come maestri Van Damme-Sylva, Comaz e Montald
1919/21 – Alla Galerie Giroux esponela sua prima tela: Trois Femmes. Frequenta circoli d’avanguardia dove conosce il poeta Pierre Bourgeois, di cui diverrà l’illustratore.
1922 – Lavora come grafico a Poters- Lacroix a Haren. Primo impatto con l’arte di De Chirico, Le chant d’amour mostratogli dal poeta Marcel Lecomte, lo impressiona.
1924/25 – Insieme a E.L.T. Mesens, poeta e mercante d’arte, fonda la rivista Oesaphage.Entra nella cerchia dei surrealisti belgi:Marcel Leocomte , Camille Goemas, Paul Nougé ,
Louis Scutenaire; Paul Colinet e Achille Chavée. Ottiene un contratto con la galleria Le Centaure ma Bruxelles, per la quale realizzerà 60 tavole, dopo aver dipinto Il Fantino perduto.
1927 – prima mostra personale alla galleria. Le centaure. Scarsa accoglienza.
1929 – Contribuisce alla Révolutionsurréaliste scrivendo Les Mots et les images. Breton lo ammette nella cerchia surrealista e frequenta la celebre casa di rue De Chateau dove si trova la collezione di opere d’arte tribale e le esposizioni di De Chirico, Ernst, Picabia, Duchamp e Picasso. Rompe l’amicizia con Breton.
1936. Prima mostra personale alla Julian Levy Gallery di New York e alla New Burlington Gallery di Londra, partecipa a The international surraealist Exibition.
1940 – Lascia il Belgio dopo l’invasione tedesca. Passa 3 mesi in esilio a Carsonne, dove dipinge Le repas des noces e Le mal du pays.
1943 – Torna in Belgio, inizia a dipingere alla maniera di Renoir.
1948 – Dipinge con uno stile futurista caricaturale dei Fauves francesi, il cosiddetto periodo”vache”. Appare la prima versione de L’impero delle luci.
1951/53 – E’ direttore della nuova rivista La carte d’après nature.Termina il Dominio incantato, 8 pannelli murali per il Casinò municipale di Knokke-le zoute.
1957 – Viene insignito del premio del Guggenheim International award exibition per il Belgio. Realizza il murale per il palazzo delle Belle Arti di Charleroi, La fata ignorante.
1961 – Esegue il murale per il Palazo dei Congressi di Bruxelles, Le barricate misteriose. Scrive Il richiamo all’ordine.
1964/65 – Il Moma gli dedica una mostra retrospettiva con 82 opere. Appare l’importante monografia a lui dedicata, di Patrick Walderberg con una bibliografia di André Breton.
1967 – Corregge i modelli di cera delle sue sculture e li firma. Il 4 Agosto a Rotterdam si tiene una mostra retrospettiva con 103 opere.
Il 15 Agosto muore improvvisamente a Bruxelles
di Antonella Iozzo©Produzione riservata
(07/01/2011)
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