Magritte e la natura
Gli occhi sembrano tradire la coscienza, la conoscenza si arrende
Milano – Surreale emozione di una reale visione contemporanea. Tra la mente e l’inconscio il riflesso del pensiero è un’immagine di segni e parole che, rivelandoci lo stato delle cose, ci conduce alla mostra “Magritte. Il mistero della natura” in corso a Palazzo Reale di Milano fino al 29 marzo 2009, ultima occasione di vedere le opere di Magritte in Italia; il 9 giugno 2009, infatti, aprirà a Bruxelles il museo dedicato al pittore surrealista belga René François-Ghislain Magritte, residenza permanente dei capolavori magrittiani.
Centodieci dipinti, tempere e sculture, provenienti da numerose collezioni private e dai Musées Royaux des Beaux Arts del Belgio – la collezione pubblica più importante al mondo delle opere di Magritte – per un incontro ravvicinato con l’enigma, la negazione del senso, il mistero. Il mistero della natura o meglio, il naturale mistero dell’esistenza si apre, nello specchio della conoscenza, all’immaginazione, sono percorsi probabili, intuizioni possibili, significati al limite della logica rappresentazione. Magritte sta al mistero come la natura sta a Magritte, una formulazione matematica che si appoggia alla filosofia per sfociare nella poesia. Dentro il mistero l’uomo riconosce se stesso e la sua solitudine, addormentata tra le membra della natura, ma con Magritte il mistero è la natura stessa, l’impenetrabile, l’inesprimibile, l’inafferrabile che risiede nelle cose e che sfugge al senso ma non all’occhio, sensibile nel visualizzarne l’immagine, ingannevole rappresentazione della loro vera essenza. Temi quelli della natura, dell’uomo e del mistero sempre presenti nell’opera magrittiana, temi esplorati, sviscerati in tutti i modi possibili con tutte le relazioni impossibili.
Le opere in mostra sono mosaici di intelletto nella chiaroveggenza del …mistero, sono rebus che raccontano scomponendo la logica come un’opera cubista, ne modificano la prospettiva razionale, a vantaggio di una profondità onirica, e cu immergono nella lirica astrazione dell’inconscio. Dai poco noti dipinti futuristi, alle opere dal sapore tenebroso del periodo fra le due guerre, fino ai celebri dipinti degli anni ’50; sogni, incubi, pensieri ed idee resi visibili, tramite forme e colori. Un intelletto da toccare, un intelletto ramificatosi in diafane ragnatele di incongruenze.
In Magritte l’oggetto comune diviene il simbolo per tradurre i deliri della mente, oggetti banali che riconosciamo per il loro uso quotidiano, si trasformano, dentro inquietanti scenografie, in enigmatici presenze. Ma l’assurdo può assumere anche la raffinata eleganza di un gioco di luci, come avviene nell’opera “L’Empire des lumieres”: il cielo è azzurro, la luce è quella del mattino mente in basso la casa è nelle tenebre, da due finestre la luce interna, sulla strada un lampione acceso, un sole di mezzanotte, quasi un’interpretazione della poesia di Andrè Breton “Se il sole potesse apparire questa notte….”. Il giorno e la notte sulla stessa tela, un contrasto che genera sconcerto, ma anche raffinate cadenze di sensazioni, come ci suggerisce Magritte stesso: “Nell’Impero delle luci ho rappresentato due idee diverse, vale a dire un paesaggio notturno e un cielo come lo vediamo di giorno. Il paesaggio fa pensare alla notte e il cielo al giorno. Trovo che questa contemporaneità di giorno e di notte abbia la forza di sorprendere e di incantare. Chiamo questa forza poesia”.
Da “L’art de la conversation” a “Le bouquet tout fait” , da “ La parure de l’orage” , a “Le retour”, opere che inducono a pensare, a riflettere, a sostare dentro i meandri di un mistero che si lascia sfiorare dal velluto sensuale della pittura e stimola la mente in rielaborazioni sensoriali ed intellettuali. Magritte mostra la realtà, usando immagini e parole in modo evocativo e mai descrittivo, sono forme paradossali, quasi, come dicevamo prima, un rebus filosofico in chiave pittorica che rivela il mistero della natura. Immagini che non descrivono la realtà ma solo la sua interpretazione, ciò che vediamo non è mai la verità, essa rimane nascosta dietro l’aspetto esteriore delle cose.
Gli occhi sembrano tradire la coscienza, la conoscenza si arrende al non – senso e “Souvenir de voyage”, “’L’heureux donateur” o ancora “La voix du sang”, un albero su cui si aprono sportelli, facendoci vedere una sfera e una casa, abitano la nostra persona, mentre l’occhio lucido della ragione cessa il suo peregrinare fra le nuvole in volo o fra i ricordi, magari quelli adagiati sui petali carnosi, sensuali, palpitanti di un’enorme rosa, chiusa in una stanza: “Le tombeau des lutteurs”. Ricordi o incubi vissuti da Magritte e risolti in misteri su tela come il suicidio della madre gettatasi nel fiume Sambre il cui corpo fu rinvenuto con la camicia da notte avvoltolata intorno al volto o come la cassa vicino alla culla, o l’aerostato caduto sul tetto di casa.
Un crescendo di emozioni penalizzate dall’allestimento freddo, distante, …grigio. Le ampie sale non accolgono le opere semplicemente l’espongono. Sembra non via sia nessun progetto d’allestimento che comprenda illuminazione mirata e quinte sceniche che ritagliano lo spazio dell’opera. Fortunatamente il fascino intrinseco delle opere e la loro presenza lirica, razionale, intensa e misteriosa le preserva da luoghi -contenitori che solo verso la fine si ricordano di essere spazi deputati all’arte e cercano di recuperare quel soffio di atmosfera essenziale per un’esposizione.
di Antonella Iozzo © Produzione riservata
( 4/12/2008)
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Immagini:
René Magritte, L’art de la conversation, 1950, Huile sur toile, 50 x 60 cm, Collection privée, Bruxelles, © ADAGP, Paris 2008
René Magritte, La voix du sang, 1961, Huile sur toile, 90 x 110 cm, Collection privée, Bruxelles, © René Magritte by SIAE 2008
René Magritte, Le tombeau des lutteurs, 1960, Huile sur toile, 89 x 116 cm, Collection privée, Bologna, © ADAGP, Paris 2008
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