Donna, lunga è la notte fra le tue gambe affusolate, profondo è il mare nei tuoi occhi suadenti, eterno è il languore nel tuo morbido abbraccio, enigmatico è il bacio sulle labbra della pittura di Ricardo Passos. La vibrante tensione del segno nella metamorfosi del tempo, è una dea celata nella bellezza ancestrale dell’universo, Passos ne estrae l’essenza, ne sfiora l’impalpabilità linfatica e nel gemito primordiale, il suo gesto, diviene donna, origine, terra, madre partoriente la vita. Emozioni e silenzi sul fondale dell’anima avanzano e rilasciano punti di luce sulla massa corporea, più vicina alla tensione che alla calma, più vicina alla densità del liquido germinale che alla liquidità percettiva, più vicina ai luoghi interiori che allo spazio della mente. Un’Afrodite, nel movimento del colore, produce quell’aurea magica, che Ricardo Passos mimetizza in voci misteriose emergenti dal sogno del pennello e sfumate sulla pelle sensuale di donne possenti, arcaiche, romantiche, crudeli, tristi, esuberanti, sostenute sull’abisso del mondo creativo e del mondo altro, da un sorriso lieve, da un filo di pensieri sospeso nell’utopia, sospeso in “Mentes Gordas Almas Magras”. Giochi di plasticità e volumi dominano le opere, dimensioni smisurate deformano il concetto fisico e aprono finestre sul paesaggio del corpo. Forma e senso si modellano nella simbiosi di linee, ed è subito notte nella profondità di un taglio che, divarica la tensione erotica nella sacralità custodita in occhi lontani dal primo piano e vicini al piano di sfondo. Città interiori costruite sull’affetto, attendono pause dilatate, quasi presenze, figure dell’arcaico in continua evoluzione, una crescita costante alla ricerca delle radici dell’umano: “Mater”, frammenti di materia fatta emozione, emotività che muove, guida, l’energia creativa di Ricardo Passos nella composizione dell’infinito dentro te … donna, anima fortificata, anima eterea sulle ali del vento. Eterno presente, futuro anteriore, tutto continua in un’implosione magmatica, qui l’assoluto è una nuova solitudine innamorata del fiore della vita. L’acqua vitale ne stempera la tragedia in un unico colore pronto a rivelare l’universo chiuso nel delirio di donna e intriso di sogni e memoria. L’impatto visivo è disarmante, pieni e vuoti, presenze e assenze, luci e ombre, colori prelevati alla terra si dissolvono nella pioggia di sensazioni, dando forma alla sofferenza come alla serenità svampita e dipinta nei gesti malinconici. Su questa forma emerge la tensione verso un contenuto essenziale, ancora più pregnante nell’epicentro dell’opera, specchio anamorfico dell’animo umano. La sensazione immediata è astratta, ma il segno, sembra inseguire lo spazio che, dall’interno del quadro si propaga in ogni direzione , in ogni momento, e ad ogni nostro sguardo, compare il mondo di donne silenziose e decorative, di donne icone – madri, ma tutte figlie di vite intrecciate ai mutamenti permanenti che hanno perso il senso di gravità. L’estasi di colori caldi, di timbri che profumano d’estate, di onde marine che bagnano il tramonto dell’anima, aprono conversazioni con l’etereo femminino in una sintesi di passione conoscitiva e fervida partecipazione estetica. Passos sembra dipanare con perizia tecnica il groviglio di coscienze tormentate, di donne drammaticamente presenti nella loro assenza, una ricerca che svanisce nella teatralità di oniriche evasioni. Movenze spettacolari riscaldano l’atmosfera sotto la brillante luce del colore e trasformano il soggetto in commento scenografico, suggestiva apparizione in cui rifugiarsi, perdersi, vivere il sogno elaborato in favole grottesche. E non ci sono favole senza regine, “Com rei, che in barriga”, donne pulsanti che trattengono il mare nel cuore, donne libere che non hanno mai toccato la libertà, donne – regine, quelle di Passos, che tengono ben stretto il passepartout del loro castello. Aprono porte di stanze sconosciute, sale da ballo dove il desiderio danza con l’intimità violata, segrete che evocano pianti, dolori racchiusi nell’amore eterno giurato a chi ha bussato a quella porta, a chi è entrato nell’amplesso della ragione. La rappresentazione scenica di Ricardo Passos è un microcosmo femminile, splendido e materico, inserito nella spazialità cromatica con la forza della figurazione, intesa come mistero di relazioni tra un nudo di donna e una donna nuda, legami contrappuntistici tra scene e scene, richiami, rinvii, incontri. Masse vibranti di toni armonicamente orchestrati, seducono l’attesa, portando in sé l’emozione viscerale e profonda del contatto, del gesto pittorico di Passos, fermo, delicato e vibrante di tensione emotiva, una danza circolare appagante e dolcemente frenetica. Una ballata triste e sensuale che calibra il piano dell’azione, o forse, della staticità apparente del soggetto, in un esito significante pronto a parlare di stati d’animo e d’intima connessione fra una fibra e l’altra. In “Modus vivendis aurea” cariche d’energia si accavallano, si legano, si avviluppano e si spengono nel vuoto, nel nulla che riempie la spazialità di una sensazione eclissatosi, senza lasciare traccia, in un atmosfera rarefatta dove l’addensamento di un fraseggio fantasma, crea la dinamica del chiaro – scuro, mentre il corpo respira in bagliori di luce dai quali riceve sostanza volumetrica. La vena lirica di Passos s’incanala in un territorio sentimentale, sfiora il senso dell’immagine allo stato nascente, e si posiziona in una zona dove s’incontrano tensioni evocative e slanci narrativi, e qui nel silenzio della tela si condensa la voce dell’universo, un flusso di coscienza spiritualizzato nel corpo di donne solitarie, che, abitano la scena; con delicata grazia scompongono la loro intimità, la loro interiorità, il loro essere in materia poetica e ne proteggono la sensibilità deflagrante, dilagante, straripante verso rive pericolosamente esposte all’angoscia, al disagio, all’incomunicabilità, all’estraniante realtà. Un audace tramonto sul fondo dei nostri occhi, rivela la bellezza struggente delle fiamme che si agitano nell’amplesso della coscienza. Un ritratto al limite della sopportazione s’imprime così, nell’iride della ragione e sprigiona tensioni violente laceranti l’illusione, diafona fantasia quotidiana, e ne sviscerano l’umano sentimento come il dialogo frenetico e folle con la psiche, in una verità in cerca dell’elemento eterno della natura. Passos estrae dall’acqua la trasparenza, dal cielo l’immenso, dalla terra l’essenza primordiale e crea la musica sotterranea dell’alveo femminile, disegna fulminanti arabeschi cromatici, ma è soprattutto pensiero la sua espressività, sa di bianco, infatti, il dolore raccontato in modo intenso, che con coraggio lo trae fuori dal suo guscio rispettandone però, il valore della forma e della logica strutturale.
Il coinvolgimento emotivo, lucido, limpido e commovente, produce un gioco di dinamiche srotolate nell’aria con eleganza e leggerezza, delicati nastri fluttuanti, linee melodiche che riconducono alla donna, evocazione sonora nel fremito supremo della vita, creatura deldi
di Antonella Iozzo © Produzione riservata ( 2/03/2008 )
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