“Picasso, il matador del Novecento”- S i parla di oltre 100mila prenotazioni sul web ma gli organizzatori (Comune di Milano e 24 Ore Cultura) contano di superare il mezzo milione di visitatori, record assoluto per una mostra al Palazzo Reale.
Milano – Per questa ragione è stata abolita la tradizionale chiusura del lunedì e dal giovedì al sabato ci si potrà andare anche la sera, fino alle 23.30, dal 20 settembre al 6 gennaio 2013.Pablo Picasso torna a Milano dopo la grande antologica del 1953 (che fece tappa alla GNAM di Roma). Un’assenza di sessant’anni, se si esclude una mostra più piccola e meno ambiziosa nel 2001. E l’attesa è spasmodica, come si trattasse di una popstar. D’altra parte il genio di Malaga è tra i pochi pittori del ‘900 (insieme a Dalì e Warhol) in grado di far cassa al botteghino senza che gli esperti storcano il naso. Il valore aggiunto di questa nuova esposizione è dato dalla provenienza certificata delle opere, tutte in collezione al Musée National Picasso di Parigi che, dal 1985 anno dell’apertura al pubblico, ne conta circa 5mila. Insieme con dipinti, sculture, disegni e incisioni viene proposto un interessante corpus di fotografie e documenti dall’archivio privato del Maestro, ideale completamento del percorso filologico per la cura di Anne Baldassari.
Rispetto al lontano 1953 il mondo dell’arte è cambiato diverse volte e quello che sembrava il genio trasgressivo per antonomasia, talvolta messo alla berlina dal giudizio popolare, è diventato il classico per eccellenza del XX secolo; ed è necessariamente scemato quel dibattito che nel secondo dopoguerra vide Picasso protagonista di diverse querelle sul suo rapporto con la politica. Allora il centro della questione fu rappresentato da Guernica, capolavoro della pittura a impegno sociale dipinto nel 1937 ed esposto alla Sala delle Cariatidi, che Picasso dedicò al massacro del paesino basco nonostante all’origine avesse in mente di realizzare una gigantesca Tauromachia.
Più che per l’indiscutibile valenza estetica, il malagueno venne tirato dentro alla questione ideologica: iscrittosi al partito comunista francese nel 1944, Picasso fu immediatamente etichettato come artista di sinistra, salvo suscitare diverse antipatie tra i funzionari e i militanti che non sopportavano alcuni aspetti del suo carattere: donnaiolo, vanesio, molto ricco, amante del lusso, della corrida e della bella vita.
Neppure la corrente realista che faceva capo a Guttuso e Togliatti vedeva troppo di buon occhio la sua spiccata vocazione sperimentale, perché troppo lontana da quell’immagine «vera» che serviva a far crescere il popolo nell’ideologia più sorda. Nonostante diversi critici lo liquidassero in quanto autore di scarabocchi, Picasso rappresentò davvero il punto di partenza per quella nuova generazione di artisti che voleva superare la verosimiglianza e considerava possibile una pittura di ricerca.In effetti era proprio questa la sua vocazione: uomo onnivoro e vorace (nella vita come nell’arte), Picasso era un inesausto sperimentatore di tecniche, che anticipa e attraversa tutte le avanguardie storiche senza accettare alcuno schema, salvo poi ritornare ai temi cari della classicità, e senza mai abbandonare gli stili espressivi tradizionali della pittura e della scultura. L’incarnazione assoluta del genio.
A Milano è rappresentato, con diverse punte di eccellenza, ogni periodo saliente di una lunghissima carriera che parte dal 1895 e arriva al 1972, anno della morte. Per cominciare, dalla prima influenza espressionista (Morte di Casagenas, 1901) al periodo blu del ritratto di Celestina (1904). Intorno al 1907 abbiamo studi, schizzi, disegni e dipinti preparatori per il capolavoro assoluto delle Demoiselles di Avignon, ma anche l’incursione verso l’arte africana, sintetizzata in una coeva scultura lignea di qualità sublime. La Natura morta con sedia impagliata del 1912 è considerata il primo collage dell’arte moderna, e solo l’anno dopo troviamo il sorprendente polimaterismo nella Chitarra e bottiglia di Bass.In pochissimi anni si accumulano una tal quantità d’esperienze da far pensare non a un solo artista ma a un’identità multipla.
Eppure Picasso, raggiunto il massimo grado di sperimentazione pittorica (la seziona, la fa a pezzi, la ricompone negando i concetti di spazio e tempo), torna incredibilmente al classicismo: ecco le Bagnanti del ’18, il folgorante ritratto di Olga, la Donna seduta del ’20 e lo straordinario «bacio» cubista del 1925.Degli anni ’30 si ricorda soprattutto l’intenso lavorìo intorno a Guernica, le incisioni preparatorie e quelle figure di donne e animali che deciderà di riutilizzare.
Altre due strepitose opere del periodo sono il Ritratto di Dora Maar (1937) e la Donna col cappello blu (1938).In verità Picasso è sempre in stato di grazia, anche quando relega in un angolo l’impegno civile – testimoniato peraltro dal Massacro in Corea, già esposto a Milano nel 1953 – per dedicarsi alla rappresentazione del corpo femminile nudo in quadri dallo spiccato erotismo (sua autentica fissazione) che non trascura mai la curiosità sperimentale. Ansia che investe persino le sculture e le ceramiche di cui apprezza la sensualità materica. Scopriamo persino un eccezionale Picasso tardo, in un’altra versione del Bacio (1969) e nel Musicista (1972), tra i suoi ultimi quadri.
di Luca Beatrice
(16.09.2012)
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