Raffaello ( 1483 – 1520)
Una piramide umana di totale esattezza allietata, adornata ( non più di questo), da un paesaggio tenerissimo e bellissimo, che Dio ha voluto cosi squisito
Nato di venerdì santo, Raffaello muore di venerdì santo a 37 anni, come Parmigianino, Watteau, Van Gogh, Toulouse-Lautrec, Byron, e come un’altra trentina di “ divini fanciulli” che hanno avuto in dono fin dalla più tenera infanzia la grazia, il successo, la felicità, e che si estinguono, come certi insetti, in poche ore, dopo aver proiettato la luce più concentrata e abbagliante del mondo.
Evidentemente, è questa la soglia sulla quale le energie dell’adolescenza si estinguono, per impossibilità, o non volontà, di andare avanti. Per incapacità di diventare adulti. L’accecante arco vitale di Raffaello è infatti direzionato verso la grazia; una grazia sempre più complessa; una grazia che ambisce a farsi ordine universale; che assume sul proprio fragilissimo ipogeo i massimi sistemi filosofici del pensiero cattolico e occidentale. Di più: una grazia che cerca di ricondurre nel suo cerchio anche il nemico più terribile, che è il caos della carne e del desiderio sessuale; e alla fine non c’è la fa, e nell’ultima opera lascia trapelare l’orrore dell’abisso, un attimo prima di essere ingoiata dal nulla e dal caos, signori del mondo così com’è, non come dovrebbe essere.
Raffaello sfiora una prima adolescenziale perfezione, a ventuno anni, già nello “Sposalizio della Vergine” ( 1504) , quando sta uscendo dalla scuola del vecchio Pietro Perugino. Un’architettura a pianta centrale, lievissima, a sedici lati, troneggia nella luce ferma e assoluta ( che la trafigge da parte a parte, grazie a un atrio passante, verso lo spazio infinito) solo per imporre il proprio trepido rigore agli atti teoricamente sempre approssimativi degli umani.
E invece anche gli umani hanno deciso qui, per la prima volta, di inchinarsi ai principi della grazia: si raggruppano simmetricamente sui lati del dipinto, all’interno della grande simmetria lasciano partire una sotto – simmetria dei contraenti il matrimonio che isola in posizione strategica il sacerdote al centro della composizione; e non c’è gesto, inclinazione del capo o inchino che non rispondano al ritmo di forme circolari che inseguono forme circolari, in un’armonia cadenzata che sfida ogni approssimazione del visibile.
Con tanta maestria, Raffaello è però un ragazzo modesto ( di fronte all’arte) e voglioso di imparare. Semplicemente, sa che quello che per qualsiasi pittore suo contemporaneo sarebbe stato un traguardo, per lui non rappresenta che un primo passo verso la perfezione; o verso la perdizione.
Così, va nella Firenze di Leonardo e Michelangelo. Apprende dal primo a profondità dei sentimenti, o dei “ moti dell’animo”, in altre parole ciò che in termini moderni si direbbe psicologia; dall’altro, il coraggio di osare, di pensare un uomo che può illudersi di essere padrone dell’universo. Frullate con genialità, queste due spinte portano per esempio alla “Madonna Canigiani”, oggi a Monaco di Baviera. Una piramide umana di totale esattezza allietata, adornata ( non più di questo), da un paesaggio tenerissimo e bellissimo, che Dio ha voluto cosi squisito per incorniciare le forme di chi ha creato a propria immagine e somiglianza.
E però attenzione: non sono manichini da teatro dell’arte i personaggi di Raffaello; perché dialogano, si inteneriscono, parlano tutti con tutti, inscenano un teatro denso e ricco. La vita è arginata, ma corre impetuosa e violenta come un torrente che si ingrossa.
Talchè un papa geniale come Giulio II., quando Raffaello scende sul campo di Roma verso la fine del 1508, non ci mette un giorno a chiamare i muratori per imbiancare gli affreschi già esistenti, e ad affidare l’intera decorazione delle sue Stanze al “divino fanciullo” . Il quale ( sorretto da una grazia al culmine della sua potenza) non vacilla; e apparentemente non si tormenta come fa invece Michelangelo, negli stessi mesi, di fronte alla Volta della Cappella Sistina.
Si dà invece come obiettivo quello di rappresentare l’intero universo del visibile e del pensabile. La prima stanza è dedicata non più che all’esaltazione del Vero, nei due versanti della verità rivelata, studiata dalla Teologia “ La disputa del Sacramento” e della verità razionale, studiata dalla Filosofia “La Scuoladi Atene”; del Bene, rappresentato dalle Virtù cardinali e teologali, e dalla legge, sia civile che ecclesiastica; del Bello, rappresentato dalla Poesia “ Il Parnasio”. Questo per cominciare.
In un’impresa sovrumana che Raffaello sembra svolgere in souplesse, tant’è che alla fine dell’impresa ( 1511) il ciclo fatale della grazia gli lascerà ancora nove anni per reggersi a quell’altezza avara di ossigeno. Il risultato è, in tutti i sensi, miracoloso, uno dei massimi concentrati di “ pensiero in figura”. Perfezione di spazi archeologici, architettonici e naturali. Teatro densissimo di pensieri, di sentimenti e di nobiltà. Potenza immaginativa nella visione di un Arcadia che esiste solo negli archetipi dell’umanità . Luci dolcissime, bionde e ferme che sbucano dietro a un Olimpo detentore di tutte le verità. E’ tutto questo governato da una misura prospettica che fa di Raffaello un Demiurgo sostanziato di cromosomi umani, se possiamo dire così un “ agrimensore della Totalità”.
Si può vivere senza ossigeno? La risposta è no. Cosi, l’ossigeno, cioè la vita, e diciamo pure la carne e il sesso, Raffaello va a cercarli nei vicoli di Roma. Sappiamo poco al riguardo. Restano solo sussurri. Ma i principali indizi arrivano da Raffaello stesso, e il più importante è fornito dal ritratto della “ Fornarina”, figura femminile che i famigerati sussurri garantiscono aver avuto gran parte nella vita del giovane urbinate.
Perfezione, come sempre. Ma quelle dita lunghe, magre e prensili.. Quel velo che non intende nascondere l’incantevole ombelico… I seni forti ma eretti, con l’incantevole rosa caramellato dei capezzoli. E l’invito dell’accoppiata occhi – bocca, che sembrano dire, se non sbagliamo, “ vieni, qui c’è tutta la felicità che puoi desiderare”…
Quando cade, sull’asticella dei 37 anni, Raffaello, dopo il papa, è l’uomo più celebre di Roma. L’ambasciatore di Mantova descrive la sua morte come quella di un nuovo Gesù Cristo, tant’è che la pone a 33 anni ( ignorando ovviamente che secondo i moderni studi è stato Cristo a morire a 37 anni ), e la descrive accompagnata da sconvolgimenti naturali simili a quelli che segnarono la tragedia del Golgota. Ma incredibilmente nessuno ha mai detto esattamente di che cosa sia morto il “ divino fanciullo”. Anni dopo, il Vasari, sostanzialmente un nemico ( perché amico di Michelangelo), insinuerà che sia morto di eccessi sessuali. E se cosi fosse? Siamo nati anche per quello; e Raffaello, senza contraddire la sua immensa genialità, non fa eccezione alle regole della specie.
di Flavio Caroli
Dal libro “La storia dell’Arte” Electa, 2001
Pagg.568 , Euro 38,73
ISBN 8-435-9704-3
Immagine: Presunto autoritratto; olio su tavola, 45 x 33 cm, 1506, Galleria degli Uffizi, Firenze
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