Sironi
Dall’ideale della pittura murale ai paesaggi urbani
Milano – “Sironi. Gli anni ’40 e ’50. Dal crollo dell’ideologia agli anni dell’Apocalisse ”, è la mostra in corso, fino al 22 giugno alla Fondazione Stelline di Milano. Una cinquantina di opere, prestate da illustri collezioni pubbliche e private, indagano, evidenziano, sottolineano gli anni bui e tormentati di Sironi, gli anni dei silenzi taglienti, gli anni del dolore, gli anni in cui lo strazio interiore per il suicidio, nel 1948, della figlia diciottenne Rossana, avuta dalla prima compagna Matilde Fabbrini, costruisce muri insormontabili, rocce possenti nel vuoto circostante; sono anni amari segnati, inoltre, dallo spaesamento provocato dal declino della sua concezione politica e artistica, anni, come il 1943 in cui rischiò di essere fucilato dai partigiani dopo aver aderito alla Repubblica di Salò, l’intervento di Gianni Rodari, fu determinante per la sua salvezza. In questo periodo la sua produzione è un lirico diario, una struggente, angosciosa, spettrale, livida verità su tela, dove la linea figurativa frammentaria, depositata nel tempo, è un lancinante racconto privo di voce.
Dall’ideale della pittura murale ai paesaggi urbani, e “ La periferia ” diviene quadro storico del 1942. Una netta geometria toglie ogni sfumatura, ogni cenno vaporoso al cielo. Pareti, cemento, costruzioni, la forma monumentale è l’unica espressività che fuoriesce dal colore spento, opaco, grigio. Non vi è nessuna traccia di umanità, l’assenza infonde all’intera opera il ritmo spezzato, seghettato, del silenzio, ampia distesa di suoni muti, di micro presenze inghiottite dalla precarietà.
Nell’assenza di una prospettiva naturale avanza la costruzione di stati d’animo sull’orlo della disperazione, fantasmi che emergono come visioni, dalle tenebre del suo inconscio per appropriarsi di luoghi, di spazi, all’apparenza “liberi ” e tramutarli poi, in paesaggi cupi, gravi, opprimenti, “Composizione – Nausicaa e la nave di Ulisse”, parla da sola. Anche i nudi spossati ed emaciati, nella loro rigida presenza, appaiano come figure spente nella loro desolante essenzialità.
Il suo interesse, la sua predilezione per la composizione murale, sembra corroborare l’intensità del dolore, pietrificatosi in gelidi sussulti irretiti nella loro stessa forza, sono immagini di una soffocante ansia inghiottita dal pessimismo.
In questi anni l’ardore della giovinezza, l’amore per l’arte antica, la plasticità formale raggiunta nella maturità sembrano perdersi nella notte dei tempi. Adesso è in atto un completo rinnovamento del proprio linguaggio, adesso la vita è stata penetrata nella sua profondità più oscura e tenebrosa, adesso Sironi ha sorseggiato il fiele della disillusione, adesso si volta indietro, ancora una volta, non per copiare l’antico, ma per dargli nuova forma.
Nei paesaggi urbani la composizione si tocca con gli occhi, pennellate materiche quasi fossero la struttura stessa dell’opera, il disegno retrocede, e le case, le finestre i palazzi così imponenti dichiarano tutta la loro fragilità naturale perché quella esistenziale risulta con più forza dalle figure. Comparse, ombre viventi nella loro assenza, donne e uomini feriti dal destino, privi di storia, un coro d‘iniziati senza meta, schiacciati da rocce, da macigni, è il loro stesso io, è la loro anima inchiodata al male latente, è la natura, inesprimibile sorgente del profondo, che ricade sull’uomo con il suo peso tenebroso, drammatico, arcaico. Figure sedute, figure inginocchiate, figure pietrificate in paesaggi ostili, freddi, gelidi, non esiste vita qui, ma solo il suo cupo riflesso ingabbiato nella forma minacciosa della desolazione, dell’impotenza e figure come “La penitente”, sono il bassorilievo tragico dell’esistenzialità che un vento di sotterra scuote invano. Costruzioni sintattiche governano muri di silenzi, impenetrabili come rocce, sono lastre solide ed ingombranti, inamovibili, imbevute dalla teatralità di una profezia “Debout les morts”.
Tutto inizia nella periferia della mente, tutto finisce nella devastante deflagrazione del destino, un’ “Apocalisse” apre voragini spaventosi, inghiottisce l’umana speranza, sempre che ancora si riesca ad avvertire il suo respiro, e annienta l’assoluto, pervaso da un senso cosmico e distrutto da divaricazioni sonori provenienti dall’anima , posti ora , al limite estremo dell’esistenza. Al di là, l’oblio attende.
di Antonella Iozzo © Produzione riservata
26/05/2008
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