Henriette, e il Monte Bianco

Gli acquerelli segreti di Henriette, la ragazza che vinse il Bianco
Ritrovato l’album di immagini dedicato all’impresa del 1838. Niente favole, le illustrazioni, a metà tra la retorica romantica e l’enfasi neogotica, erano custodite in una cassaforte, murata in una casa della periferia parigina.

Monte-bianco-avvolti-nelle-coperteAosta – C’era chi aveva immaginato di raggiungere la vetta del Monte Bianco per toccare la Luna o avvicinare una stella, chi spinto da meno ingenuità e più scienza voleva misurare gli elementi da lassù. Lei, l’aristocratica Henriette d’Angeville, ribattezzata «fidanzata del Monte Bianco» dai suoi connazionali francesi in cerca di un’iperbole, dalla cima liberò un piccione viaggiatore con un messaggio per l’umanità e scrisse quattro lettere ad altrettante amiche. Era l’inizio di settembre del 1838 e il mondo aveva appena saputo che avvicinare la stelle da un punto anche così alto restava insignificante, perché Friedrich Wilhem Bessel, battendo sul tempo i suoi colleghi astronomi, era riuscito a misurare la distanza d’una stella, la 61 Cygni.

Le lettere di Henriette arrivarono, ma il piccione finì in qualche pentola, abbattuto – a quanto si disse – in quel di Saint-Gervais, ai piedi della montagna. Il volatile un po’ confuso dall’altezza era stato portato sui ghiacci e fino in vetta in una gabbietta di vimini e legno. E così, sulle ginocchia di Henriette, era stato immortalato da uno dei pittori ginevrini che raccontarono con gli acquerelli l’avventura della seconda donna sul Bianco e della prima alpinista della storia. È una delle tavole finite nel mistero, quasi nella leggenda, al pari della poesia di chi voleva salire la montagna come scala per arrivare agli astri.
Niente favole, le illustrazioni, a metà tra la retorica romantica e l’enfasi neogotica, erano custodite in una cassaforte, murata in una casa della periferia parigina. A forza di girar pagine e indagare le ha trovate il direttore della scuola di teatro dello Stabile di Torino, il giornalista e storico dell’alpinismo Pietro Crivellaro. «Chi è il proprietario? Non lo dico neppure sotto tortura», ride. «La famiglia che ha le tavole dei pittori ginevrini Jules Hévert e Henri Deville, assoldati da Henriette, è erede dei D’Angeville e non sapeva che fare. Speriamo di poterle pubblicare». Crivellaro le ha fotografate e precisa: «Non hanno nulla a che fare con il Carnet Vert, cioè con gli appunti correlati da disegni di Henriette. Sono dipinti dell’album che si pensava perduto».

Nata in prigione, perché padre e madre scontavano fin dall’epoca della rivoluzione francese la loro appartenenza all’aristocrazia (il nonno fu ghigliottinato), Henriette, la casta, la colta e la raffinata, era attratta dall’arte e dalle montagne. Nel 1838 aveva 44 anni ed era già salita sul Mont Joli, nei dintorni di Ginevra, e aveva raggiunto i 2700 metri del Jardin de Talèfre, nella vallata dominata dal più esteso ghiacciaio del Monte Bianco, la Mer de glace. Un po’ schivata perché ritenuta eccentrica, quando annunciò di voler arrivare in cima al Bianco fu ritenuta folle. Divenne un’eroina. Henriette aveva un animo nobile, tanto che non solo volle conoscere la prima donna che aveva salito il Monte Bianco, l’umile e povera Marie Paradis, ma le diede il posto d’onore nel dipinto del trionfo, nella cena in cui Marie è a capotavola nel grande albergo «Union» di Chamonix. E sull’altro lato scodinzola la cagnetta «Diane», di Eisen Kremer, uomo d’affari e alpinista che salì lo stesso giorno di Henriette sul Bianco. Ricorda Crivellaro: «In realtà lui le aveva proposto di unire le spedizioni, ma lei rifiutò.

Poi scriverà “già le mie guide mi vedevano in situazioni imbarazzanti”. Kremer comprò poi l’Union ma fallì. Henriette in mezzo a 13 guide, ai portatori, una folla di uomini. Era questa la sua vera sfida, pensando ai costumi dell’epoca». Henriette e la cameriera faranno il viaggio da Ginevra fino ai piedi del Bianco con un calesse malandato. Nelle tavole compare quel mezzo poco adatto, così come l’eroina di spalle su una terrazza ginevrina, in riva al lago, con sullo sfondo la candida cupola del Bianco.

Ma ciò che sorprende delle opere dell’impresa è il risveglio dopo una notte di bivacco sotto le stelle e fra i ghiacciai. Fuochi sulle rocce e alpinisti avvolti in coperte chiare, come anime del Purgatorio dantesco. ( www.lastampa.it )

di Enrico Martinet ©Riproduzione riservata
                  (11/08/2014)

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