Anche il Prosecco australiano può diventare un’eccezione positiva alla docg italiana. È importante ricordare che la sua produzione in Australia non è qualcosa recente in quanto la comunità italiana trapiantata nel Paese aveva iniziato a produrlo fin dagli anni ’60.
di Francesco Piccoli
Attualmente la produzione di Prosecco in Australia ha un valore di circa 40 milioni di euro ma è in forte crescita e potrebbe raggiungere a breve i 150 milioni di euro. Secondo alcuni osservatori la produzione di Prosecco australiano potrebbe rappresentare un beneficio anche all’immagine e posizionamento di quello italiano. Recentemente su the-buyer.net, Nik Darlington, collaboratore di Red Squirrel Wine, una delle aziende importatrici inglesi di maggior successo, ha pubblicato un articolo molto interessante sul Prosecco australiano.
È importante ricordare che la produzione di Prosecco in Australia non è qualcosa recente in quanto la comunità italiana trapiantata nel Paese aveva iniziato a produrlo fin dagli anni ’60, non tanto per profitto (come vedremo, la dimensione del mercato australiano non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella del mercato europeo) quanto per affetto e genuina nostalgia del Paese d’origine. Nik Darlington, nel suo articolo, si concentra soprattutto sulla cantina della famiglia Dal Zotto, situata nella King Valley, la zona di produzione del Prosecco australiano più rinomata. I Dal Zotto hanno iniziato, come molti, con le piantagioni di tabacco per poi dedicarsi alla vigna e al vino nel corso degli anni ’80, coltivando varietà come Arneis, Garganega, Sangiovese e Barbera. Il Prosecco arriva più avanti, a metà degli anni ’90, dopo una lunga ricerca della varietà ideale, la scelta ricade sul Prosecco di Valdobbiadene e le prime bottiglie arrivano nel 1999.
Dieci anni più tardi, però, sono raggiunti, come molti altri produttori australiani, da due procedimenti giudiziari emanati dall’Italia in seguito alla questione Prosecco/Glera che, però, non ottengono il risultato sperato di bloccare la produzione.
La situazione quindi è proseguita in maniera tranquilla fino ai recenti nuovi accordi di libero scambio tra l’Unione Europea e l’Australia durante i quali, secondo Nik Darlington, sembra essersi diffusa la sensazione che l’Italia voglia sfruttare l’utilizzo della denominazione “Prosecco” come un’eventuale pedina di scambio. Impedirne l’utilizzo diventerebbe un rischio non solo per l’industria del Prosecco australiano, che sta attraversando un periodo di crescita estremamente favorevole e che quindi vedrebbe minate le stesse fondamenta su cui poggia, ma diventerebbe anche un pericoloso precedente per molte altre denominazioni nella stessa situazione.
La cantina dei Dal Zotto inoltre non ha certo l’obiettivo di inserirsi a forza nel mercato europeo, fosse anche solo per dimostrare la bontà del loro prodotto. Non sono certo saltati sul carro del vincitore, come è successo allo Champagne, in quanto la produzione del loro Prosecco è iniziata ben prima che questa varietà potesse anche solo immaginare il successo attuale. Lo stesso discorso vale anche per Sangiovese e Vermentino.
Secondo Michael Dal Zotto, il mercato del Prosecco australiano attualmente vale l’equivalente di 40 milioni di euro e può puntare ai 150 milioni nel giro di pochi anni. Pur essendo briciole rispetto al mercato del Vecchio Continente, è innegabile che si tratti di cifre da tenere d’occhio in quanto in forte crescita e un cambio improvviso di denominazione rappresenterebbe un disastro senza pari.
Ross Brown, della cantina Brown Brothers, nota che impedire l’utilizzo della denominazione “Prosecco” sarebbe come impedire di usare Sauvignon Blanc o Chardonnay e che la situazione non è confrontabile con quella dello Champagne perché Prosecco non ha mai storicamente indicato una zona geografica fino al 2009. Prosecco non è l’unica uva che ha assunto lo status di marchio nel corso del tempo e che ora è coltivata in diverse aree geografiche nel mondo. Infatti un altro caso altrettanto eclatante che si può citare è quello della varietà Malbec, un uvaggio francese che è arrivato al successo attuale grazie agli eccellenti raccolti realizzati, però, in Argentina.
Ora i produttori francesi stanno lavorando duramente per far sì che i consumatori siano a conoscenza del fatto che l’origine dell’uva è francese e non argentina.
Tornando al Prosecco, una vittoria dei Consorzi di tutela rappresenterebbe quindi? ” scrive Darlington – un pericoloso precedente per molti casi simili nel mondo del vino. Ciò non significa che i consorzi rappresentino il male, ovviamente. Vengono creati con l’obiettivo sacrosanto di garantire uno standard di qualità certificato ed elevato per i consumatori. Ross Brown è il primo a riconoscerlo ma aggiunge anche, esasperando senza dubbio la situazione, che, da quando “Prosecco” è diventato una docg, i Consorzi sono stati costretti ad accettare che un 20% della produzione avvenisse al di fuori della denominazione geografica, che è stata a sua volta ampliata per ragioni di convenienza economica e a causa di una vendemmia avara di soddisfazioni. Il tutto purtroppo a discapito della qualità.
Nella zona della King Valley, operano poche cantine, di dimensioni ridotte e spesso a conduzione famigliare (di origine italiana). Le radici italiane sono forti e non solo collegano il Prosecco ad una cucina adatta a questo vino ma anche collegano le diverse cantine fra di loro, in uno sforzo comune per promuovere la zona. Questo fa sì che il potenziale di crescita sia enorme, anche perché il Prosecco prodotto in Australia è economico ma non è certo di scarsa qualità. Per concludere, la King Valley potrebbe diventare un esempio positivo per moltissime cantine italiane. Persino i francesi hanno visto il successo del Malbec argentino più come uno stimolo che come un oltraggio.
L’ispirazione del successo australiano potrebbe rappresentare un toccasana non solo per il Prosecco italiano ma anche per tutte quelle realtà coinvolte nell’importazione e nella vendita di questa qualità nel mondo.
Bisogna anche rimarcare che il successo dei Dal Zotto esula dal loro poter utilizzare la denominazione “Prosecco”. È un successo che nasce dall’aver creato e creduto in uno storytelling coinvolgente e nell’offrire una varietà di stili diversi che hanno una qualità altissima come unica costante, il che sta invogliando sempre più consumatori ad avvicinarsi ad etichette appartenenti alla fascia premium.
Come già è successo per lo Champagne, anche il Prosecco prodotto in Australia può diventare un’eccezione positiva alla docg italiana.
È vero che una denominazione protetta viene creata per far sì che sia più facile per i consumatori riconoscere un prodotto di qualità da un altro proveniente da una zona diversa?” conclude Darlington – ma questo non significa nemmeno una chiusura ostinata, specie nei confronti di storie di successo come quelle delle cantine della King Valley, da cui l’Italia potrebbe trarre un esempio positivo a vantaggio di tutte le realtà coinvolte.
Francesco Piccoli
(19/01/2018)
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