Vini low alcol non entusiasmano. Visto il notevole successo che stanno ottenendo, ho deciso di degustare alcune tipologie di vini a basso contenuto alcolico (o “low alcohol wines”) e ne sono rimasto deluso.
di Fabio Piccoli
Vini low alcol non entusiasmano. Era da un po’ di tempo che volevo farlo, ma alla fine trovavo sempre una scusa per evitarlo. Dopo l’ennesimo articolo che parlava del successo attuale dei vini a basso contenuto alcolico, però, ho deciso che dovevo farmi anch’io un’idea personale su questa categoria. Ne ho degustati cinque, ma prima di darvi il mio giudizio volevo fare una premessa.
Innanzitutto, partirei con una denuncia nei confronti dei tanti articoli che ho letto in questi giorni relativi a classifiche dei migliori vini low alcol che si possono trovare sul mercato. Queste classifiche riportano vini “naturalmente” a bassa gradazione, come ad esempio alcuni Moscati d’Asti, qualche Brachetto, ma anche sparkling che oscillano attorno ai 10° vol.
Questo è fuorviante perché, in realtà, quando parliamo di vini low alcol dovremmo intendere una categoria di vini il cui abbassamento di gradazione è determinato da specifici interventi enologici, alquanto invasivi. Come giustamente ricordava Donatella Cinelli Colombini in un post di alcuni anni fa, in Australia ad esempio si utilizzano lieviti come i non-Saccharomyces capaci di produrre vini con concentrazioni inferiori di etanolo. L’inoculo di Metschnikowia pulcherrima AWRI1149, seguito da Saccharomyces cerevisiae permetterebbe di abbassare l’alcol fino a un grado e mezzo percentuale. L’esperimento ha variato molto anche la concentrazione di esteri e acidi volatili con un risultato significativamente diverso da quello originario. In altre parole, alla fine nasce un vino diverso.
“L’obiettivo di ridurre il grado alcolico”, scriveva ancora Donatella, “ha prodotto i tentativi più vari: dal proibitissimo annacquamento, agli impianti meccanici di dealcolizzazione che purtroppo rovinano l’aromaticità dei vini, fino alle più recenti osmosi e nano filtrazioni che tuttavia costituiscono pratiche molto intensive che determinano modifiche profonde alle caratteristiche gustative (aromatiche) di un vino”.
I vini che ho degustato rientravano in quest’ultima categoria, dove l’abbassamento del grado alcolico è stato indotto da specifiche pratiche enologiche ammesse (o almeno me lo auguro).
Sempre in premessa, ci tengo a sottolineare che non ho nulla contro i vini low alcol ma ritengo sia corretto che ogni categoria di vino sia ben definita per evitare pericolose confusioni. Anche in altre occasioni ho sottolineato che ritengo opportuno che questa tipologia di vino rimanga “patrimonio” del nostro comparto, piuttosto che venga gestito da altre industrie di bevande.
La mia esperienza con i vini low alcohol
Venendo quindi alle degustazioni che ho svolto, devo subito evidenziare che, sostanzialmente, si è trattato di vini che non erano nemmeno lontanissimi parenti del vitigno di provenienza.
La grande riduzione di alcol li ha portati ad essere sostanzialmente delle bevande idroalcoliche con poche (se non nulle) sensazioni che potevano in qualche misura rimandare non solo al vitigno d’origine, ma anche a quello che noi oggi definiamo un vino “normale”.
Insomma, stiamo parlando di una categoria che rientra sicuramente nell’ambito del vino (in fin dei conti, si parte sempre dalla fermentazione dell’uva), ma che non rispecchia alcune caratteristiche basilari per quel che concerne gli aspetti degustativi.
Devo ammettere che pensavo, ad esempio, che potessero essere una sorta di “bibitone vinoso” dove il fruttato poteva emergere in maniera magari anche spinta, nella realtà mi sono trovato di fronte a vini ad alto livello di annacquamento, con tutti i sentori spenti o decisamente sbiaditi.
Per certi aspetti, questo giudizio negativo mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo perché un po’ mi preoccupava imbattermi in vini magari semplici, ma comunque di beva non così sgradevole.
Se questo, quindi, è il livello medio di questa tipologia di vini, i produttori di “vino vero” non devono preoccuparsi, ammesso che ci sia una ragione per preoccuparsi su questo fronte.
Poi però mi sono posto altre due domande: a chi dovrebbe rivolgersi questa tipologia di vini?
Potrebbe essere una sorta di entry level per nuovi potenziali consumatori di vino?
Non è facile rispondere alla prima domanda, anche se mi verrebbe da evidenziare che si tratta di una tipologia di vino che non può certo attrarre veri wine lovers.
Possono essere interessanti per i tanti che si preoccupano della propria dieta quotidiana, ma non vogliono rinunciare al vino? Se questi conoscono e amano un po’ il vino, non credo siano interessati a scendere ad un tale compromesso.
Vini low alcol. Quindi, sicuramente, può essere una scelta più abbordabile per coloro che non hanno un reale livello di conoscenza e piacere nei confronti del vino. Ma se così fosse, purtroppo, temo che approcciarsi al vino entrando dalla porta dei low alcol potrebbe trasformarsi nel peggior battesimo per i consumatori del vino del futuro. ( https://www.winemeridian.com )
di Fabio Piccoli
(14/03/82022)
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