Emanuela Piemonti:I”nsegno ed imparo al tempo stesso”. “Spero di comunicare la passione e la serietà nello studio, unite alla chiarezza dell’idea”.
Emanuela Piemonti la passione che seduce il rigore sotto il segno del pianoforte. Docente presso il Conservatorio di Milano svolge intensa attività solistica e cameristica, con superba tecnica ed intensa lucidità emozionale percorre la tastiera e la Musica si rivela.
Il suo primo approccio con la musica classica?
Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia in cui la musica classica veniva ascoltata quotidianamente. Mia madre è diplomata in pianoforte, mio padre laureato in chimica e grande appassionato d’arte in genere. Direi che ancor prima di nascere mi hanno pensata al pianoforte. I primi rudimenti strumentali li ho, infatti, appresi da mia madre ed il mio primo pubblico era costituito dal papà. Contrariamente, i miei fratelli disdegnavano.
Come ha capito che sarebbe stato il pianoforte la sua anima musicale?
Non pensavo necessariamente al pianoforte quanto all’espressione musicale. Sono poi, diventati un tutt’uno attraverso la conoscenza dello strumento, acquisita nello studio quasi quotidiano fin dall’età di cinque anni.
E’ stata per venticinque anni la pianista del Trio Matisse con il quale, ha sostenuto circa cinquecento concerti nelle più importanti stagioni e sale italiane, attualmente fa parte del Trio Magritte. Come nasce il feeling musicale tra colleghi e quanto è importante l’empatia?
Il feeling nasce prima di far musica. Spesso ci si conosce meglio davanti ad un piatto di spaghetti, si parla un po’ di tutto e così ci si incontra. Il mio grande maestro De Rosa, pianista del Trio di Trieste, mi consigliava di trovarsi, prima di una prova, al ristorante. Il feeling si fonda su un “sentire”comune, poi viene il “suonare”. Affrontare insieme lo studio di una composizione è una delle esperienze più belle della vita, non necessariamente si arriva ad un’empatia comune, quando avviene si tocca un lembo di Paradiso.
Trio Matisse, Trio Magritte, risonanze surrealiste solo nel nome?
Bella domanda! Non solo nel nome, ma nasce anche speranza di comunicare una essenzialità della forma compositiva unita ad una poesia nell’ interpretazione. Poetica è riscontrabile soprattutto in Magritte; in Matisse amo la vitalità energica dei colori. Questo dinamismo lo perseguo anche nel far musica.
L’immagine che meglio esprime la sua essenza musicale?
Il “Rosengarten” al tramonto.
Dalle sale di concerto alle aule del conservatorio di Milano dove insegna musica da Camera. Impressioni da concertista ed espressioni di docente.
Insegno ed imparo al tempo stesso. Spero di comunicare la passione e la serietà nello studio, unite alla chiarezza dell’idea: senza questa chiarezza non si crea il contatto con l’ascoltatore. Non penso mai ad un pubblico anonimo, mi piace pensare a tanti ascoltatori con storie diverse. Ebbene questi intenti si acuiscono nell’abitudine alle esecuzioni pubbliche, ma allo stesso tempo nell’insegnamento apprendo come rendere coscienti certe intuizioni e come portare l’altro ad essere libero suonando. Se non vivo in prima persona serietà e libertà i ragazzi che mi stanno di fronte se ne accorgono.
Siamo in un momento storico in cui le parole sono spesso troppe e superficiali, accompagnarsi ai giovani in una approfondita ricerca espressiva dell’io e della possibilità di comunicarlo in musica è semplicemente una gioia, ancor più, una commozione.
Rilasciare emozioni e lasciar parlare l’intelletto come si combinano in musica?
Il rigore nel lavoro è per l’ intelletto, la vita di ogni giorno, anche fare la spesa, è per il cuore. Ci si emoziona a partire dalle piccole esperienze quotidiane per arrivare ai momenti privilegiati…tra questi il far musica.
Quale repertorio predilige?
Quando è musica bella suono tutto volentieri, da Haydn ai contemporanei; tra i miei compositori amati ci sono Schubert, Brahms, Bartók…
Come affronta lo studio di un nuovo brano?
Lentamente: non ho mai avuto una buona prima vista, sono veloce dalla quindicesima in su! No scherzo, ho una buona terza vista!
Cambia l’approccio con la musica contemporanea?
No, assolutamente. I parametri sono quelli di tutta la musica: ritmo, timbriche, bel suono, etc. La modalità cambia a seconda del brano e del compositore.
Donna, musicista, moglie di un compositore, il M° Solbiati. Una virtuosa sinergia?
Virtuosa non direi! Beh, mi sento una donna molto fortunata e felice! Pur indipendente, verifico ogni mia scelta con mio marito. Rispettando le differenti individualità, cerchiamo di vivere insieme molte cose: la fede, gli affetti e due amati figli, Sara e Francesco.
Armonici disaccordi di un rapporto così “musicale”.
Disarmonie beethoveniane: espressive e costruttive.
Ha suonato spesso sue composizioni, come l’ultimo lavoro “Fons” per pianoforte e orchestra commissionata dall’orchestra Haydn. Cambia il suo approccio nell’affrontare lavori creati dalla sua metà?
Ho eseguito molta musica di Alessandro, per pianoforte solo, duo, trio, quartetto, con voce, insomma, musicalmente mi sembra di conoscerlo abbastanza, e non solo musicalmente. Cambia l’approfondimento nello studio perché ogni scelta viene direttamente giudicata e confrontata con il pensiero originario. Devo ammettere che Alessandro è uno dei compositori che più dà fiducia all’esecutore.
Ho lavorato anche con Kurtág, Kagel, De Pablo, Sciarrino, Fedele, Francesconi… ogni incontro spalanca nuovi orizzonti.
Conoscere il compositore così profondamente quanto influisce sul suo giudizio critico?
Per grande stima, nella volontà di non tradire il suo pensiero.
Sviluppi di relazioni musicali e risvolti affettivi dove conducono?
A condividere la vita.
È lei che vive dentro la musica o viceversa?
Spero la musica in me, è quello a cui tendo. Dico spesso che in Paradiso si suonerà Schubert: lasciando riecheggiare in me questa purezza ne vivo una anticipazione in terra.
Se dico Musica , Anima, Solbiati cosa mi risponde?
Eccomi, presente!
Emanuela Piemonti in tre aggettivi
Curiosa, stupita, serena.
Ma!!!
di Antonella Iozzo © Riproduzione riservata
(09/03/2012)
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