Gli orizzonti di Christoph Eschenbach. Il direttore tedesco alla guida della Filarmonica della Scala per un riuscito concerto. Le preoccupazioni stilistiche lasciavano del tutto il posto all’espressione degli affetti nella prima sinfonia di Brahms.
di Luca Chierici
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando Christoph Eschenbach, capelli neri a caschetto, fisico smilzo, si era esibito a Milano accanto al biondo Justus Frantz, con il quale formava un ben noto duo pianistico. Era il 1983, e i due suonavano a meraviglia Schubert e Brahms e Mozart. Già da qualche anno gli orizzonti musicali di Eschenbach si erano però ampliati e la direzione d’orchestra stava diventando a poco a poco la sua attività principale. Quanti pianisti, del resto, erano passati temporaneamente o definitivamente dalla tastiera al podio in quegli anni, e il suo esempio venne accolto all’inizio con le dovute cautele, anche se la sua presenza alla testa di complessi quali i Wiener Philharmoniker non davano adito a dubbi per quanto riguardava una professionalità di fondo.
Eppure forse nessun pianista si è andato lentamente consolidando in questo nuovo ruolo così scrupolosamente e con risultati oggi così sorprendenti. È stato un cammino lungo, che a nostro parere ha iniziato a produrre gli effetti più notevoli a partire dai primi anni 2000. Una maturazione che oggi ci permette di ascoltare un artista di livello già eccezionale che è capace di trasferire in ambito sinfonico una varietà di fraseggio, un’attenzione ai minimi particolari che sono proprie di chi è abituato a governare a fondo uno strumento. Eschenbach sembra avere un contatto fisico con l’orchestra, vorrebbe quasi essere lui a suonare ogni singolo strumento, e il suo gesto, peraltro non bellissimo, non da “direttore nato”, pare diretto a chiedere a ciascuno un contributo personale. Ma la tecnica o il perseguimento di effetti raffinatissimi non rappresentano certo la qualità preponderante per un musicista che soprattutto ci convince per altri motivi. Eschenbach vibra per simpatia con le corde del repertorio classico e romantico e le sue letture convincono anche dal punto di vista della narrazione, soprattutto in quegli esempi tratti dal repertorio più famoso.
L’altra sera, complici i Filarmonici che quando si trovano a contatto con lui vibrano anch’essi, il direttore tedesco ha rivelato le diverse nature della quarta sinfonia di Mendelssohn, sottolineando il suo carattere germanico troppo spesso confuso con una italianità che è soltanto di superficie (come diceva l’Autore, il nostro è – o era – un paese visto come “dispensatore di felicità”). Le melodie dell’Andante sembravano riferirsi più a un cantus firmus di tradizione bachiana che a una melodia di pellegrini romani, così come il terzo movimento pareva richiamare le atmosfere delle Romanze senza parole o di certi luoghi del Sogno di una notte di mezza estate. E il tessuto contrappuntistico dei movimenti laterali era sempre sgranato con chiarezza impressionante, nonostante i tempi molto veloci staccati dal direttore.
Le preoccupazioni stilistiche lasciavano del tutto il posto all’espressione degli affetti nella prima sinfonia di Brahms, nella quale al dominio assoluto del suono si aggiungeva una particolare, ulteriore sintonia con una somma di sentimenti che sempre emerge dai pur seriosi costrutti del musicista amburghese. Bellissima serata, con un finale sereno, gioioso che non poteva che rallegrare lo spirito. Grande successo e molti, sinceri applausi da parte del pubblico. (Concerto del 2 marzo 2015) – www.ilcorrieremusicale.it/ –
di Luca Chierici
(13/03/2015)
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