La Dori, ovvero “Lo schiavo reggio” di Pietro Antonio Cesti al Festival di Musica Antica di Innsbruck. Intense vibrazioni e passioni emergono come i veri protagonisti da una scenografia essenziale giocata su colori neutri. Atmosfera esaltata e modulata nelle diverse gradazioni dei sentimenti dalla splendida illuminazione di Ralph Kopp.
di Antonella Iozzo
Innsbruck – Il Festival di Musica Antica di Innsbruck ha omaggiato Pietro Antonio Cesti nell’anno del 350° anniversario della sua morte con la messa in scena de “La Dori”, ovvero “Lo schiavo reggio”, opera tragicomica in tre atti su libretto di Giovanni Filippo Apolloni. Il 2019 decorre anche il decimo anniversario del concorso di canto barocco The Cesti Competition.
Cesti lavorò per diversi anni alla corte di Innsbruck, al servizio dell’arciduca Ferdinando Carlo. Durante tale periodo compose le sue opere più celebri, tra le quali appunto La Dori, che debuttò al teatro di corte nel 1657.
Non è mai facile portare sul palcoscenico le opere barocche per la loro natura complessa, e le opere di Cesti non fanno eccezione, ma al Tiroler Landestheater di Innsbruck. il regista Stefan Vizioli ha reso l’intricata trama una suggestivo spettacolo carico di fascino veneziano. Intrighi, travestimenti, commistioni di generi dal tragico al comico, tiranni dispotici, servi amanti fedeli, vocati al sacrifico, animati dalla vendetta o racchiusi nel limbo malinconico, tutti e tutto ha un filo logico che culmina in sviluppi inaspettati.
Dori e sua sorella minore Arsinoe, sono le figlie del re Archelao di Nicea. Da bambino la Dori era fidanzata con Oronte, figlio del re di Persia. Nel frattempo, il re d’Egitto ha una figlia chiamata anch’essa Dori e un figlio, il principe Tolomeo. Quando il Dori egiziano viene accidentalmente ucciso da bambino, il suo tutore Arsete fugge dall’Egitto e si unisce a una banda di pirati che attaccano il castello di re Archelao. Arsete cattura Nicene Dori, la riporta in Egitto ma la fa passare come la Dori egiziana, deceduta. Successivamente viene cresciuta come la principessa d’Egitto.
Nel frattempo Oronte, viene inviato da suo padre in Egitto per apprendere l’arte della guerra e si innamora di Dori. Ma il padre, morente, gli vieta di sposare una principessa egiziana, il suo dovere è quello di adempiere al contratto con il re Archelao, sposando la sorella minore di Nicene Dori, Arsinoe. Di ritorno in Egitto, Dori teme che la sua amata Oronte non tornerà dalla Persia. Accompagnata da Erasto, si traveste da ragazzo e assume il nome di Ali e va a cercarlo. Durante il viaggio si separano. Erasto la crede affogata e al suo arrivo comunica la notizia a Oronte che rifiuta di credere, in realtà Dori è stata catturata dai ladri e venduta come schiava alla sua vera sorella Arsinoe.
Arsinoe e Ali (Dori) diventano amici intimi e confidenti e viaggiano a Babilonia per il matrimonio di Arsinoe con Oronte. Nel frattempo Tolomeo arriva a Babilonia alla ricerca di Dori, che crede essere sua sorella, e s’innamora follemente di Arsinoe. Per avvicinarsi a lei si traveste da donna, Celinda.
La scena si sposta sulle rive dell’Eufrate, in un continuo rimandi di dialoghi del cuore che veicolano pulsioni e spossamenti, incertezze e debolezze umane. Errate identità e fraintendimenti si susseguono a ritmo vertiginoso come l’amore per Celinda che in realtà è Tolomeo, mentre Oronte viene deposto dal suo futuro trono per aver rifiutato di sposare Arsinoe, e infine Ali (Dori) tenta il suicidio. Il suo motivo disinteressato era quello di costringere Oronte a sposare Arsinoe e riguadagnare così il suo trono. Amori in sequenza intervallati dalle battute comiche tra Dirce, la vecchia infermiera di Oronte e Golo, il suo servo buffone.
Alla fine, il suicidio di Dori viene sventato da Dirce che odia vedere morire un ragazzo così bello, sostituendo il veleno con un sonnifero. Arsete è costretto a spiegare tutto, e con la vera identità di Dori rivelata, lei e Oronte possono ora sposarsi. Arsinoe accetta l’amore di Tolomeo e anche loro possono convolare a nozze.
Intense vibrazioni e passioni che agitano i cuori emergono come i veri protagonisti da una scenografia essenziale giocata su colori neutri. Atmosfera esaltata e modulata nelle diverse gradazioni dei sentimenti dalla splendida illuminazione di Ralph Kopp. Fondale perfetto per i costumi di Anna Maria Heinreich, quasi una danza, un turbinio di colori tra le battute comiche e gli affondi romantici.
Nel cast notiamo molti vincitori delle passate edizioni di Cesti Competion come il soprano Emőke Baráth, nel ruolo di Tolomeo, travestito da donna sotto il nome di Lucinda. Voce chiara, precisa, in grado di accentuare il fascino della melodia. Decisamente più attenta alle sfumature e ai dettagli con la sua voce vibrante e ricca di colore, il soprano Francesca Lombardi Mazzulli nel ruolo di Arsinoe.
Il ruolo androgeno della protagonista, la giovane principessa, travestita da schiava Ali, divisa tra il suo amore per Oronte e la sua gratitudine per Arsinoe che l’ha raccolta, è abilmente interpretato dal mezzosoprano Francesca Ascioti. Se la complessità psicologica è la forza e il perno dell’opera la personalità e la decisa presenza scenica dell’Ascioti ne controllano il pathos creando situazioni sceniche di ampio respiro. Il suo amante Oronte è interpretato dal controtenore Rupert Enticknap, impetuoso e graffiante, ma capace anche di delicate sfumature.
L’altro controtenore l’ucraina Konstantin Derri, mostra temperamento e presenza. Il tenore Alberto Allegrezza nel ruolo della vecchia infermiera Dirce è brillante e coinvolgente, strappa applausi e sorrisi nel corso della serata. Perfettamente a suo agio, sembra giocare con il suo ruolo in un rilancio di espressività ispirata che incrocia le dinamiche dell’azione. Il tenore britannico Bradley Smith in Arsete, disegna un ritratto liricamente aderente al personaggio.
Completano più che degnamente il cast le voci profonde del basso di Federico Sacchi in Artaxerse, il baritono basso Pietro di Bianco in Erasto e del basso Rocco Cavalluzzi in Golo. Intense e con un impronta tesa a conciliare il ruolo con la sostanza espressiva dell’intera opera.
Professionalità, tecnica ed esperienza. Triade sviluppata con grande lucida interpretata dall’ensemble Accademia Bizantina diretta da Ottavio Dantone. Gesti limpidi e garbati che accompagno le voci e librano il suono in una dimensione di rarefazione calda e voluttuosa. Acutezza e intima introspezione del suono in un continuum tra l’ensemble, il direttore e il palcoscenico capace di rilasciare sempre grande e composta espressività.
di Antonella Iozzo ©Riproduzione riservata
(02/09/2019)
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