J.Futura Orchestra e il Maestro Ciacci
Un banco di prova che ho fortemente voluto per certificare la qualità dell’orchestra
Trento – Le dinamiche dei tempi che cambiano, la musica che cambia lo spirito dei giovani. Effetto sonoro della direzione del maestro Maurizio Dini Ciacci che coniuga professionalità e autentica passione alla guida della J.Futura Orchestra …
M° Dini Ciacci ci presenti la J.Futura Orchestra
È un progetto nato nel 2006 per volontà mia e dell’imprenditrice Paola Stelzer che ha recepito l’idea, un po’ folle, ma allo stesso tempo entusiasmante di creare un’orchestra giovanile nazionale. Audizioni, richieste e i numeri in crescendo confermavano la fattibilità del progetto Sono arrivati in tantissimi e oggi abbiamo circa 300 musicisti provenienti da tutta Italia che, a vario titolo, ruotano in maniera democratica e ordinata.
Un progetto coniugato al futuro che vive il presente, che difficoltà incontra?
La difficoltà principale come al solito è quella economica. Abbiamo dei costi logistici non indifferenti, oltre alla borsa di studio che noi sistematicamente conferiamo ai ragazzi, quindi il problema economico non è da poco.
Parallelamente si pone il discorso qualitativo – formativo. L’orchestra è un organismo unitario è quindi richiede la presenza di chi sa istruire questo tipo di formazione, abbiamo fatto ricorso a docenti di grande fama che provengono anche dall’estero. La loro indiscussa esperienza porta quasi per mano gli allievi nelle condizioni ideali per di affrontare repertori molto articolati e differenti.
Numerose esibizioni di successo in Italia e all’estero, che significato assumono e cosa lasciano?
Questo è un banco di prova che ho fortemente voluto per certificare la qualità dell’orchestra. Il confronto con altre realtà, i problemi con la critica, l’incontro con altri pubblici, con altri gusti, è importantissimo per la crescita, direi che diventa uno specchio di valutazione sul lavoro svolto. Abbiamo partecipato anche a Festival di grandissimo prestigio come il Festival dei Due Mondi di Spoleto, la Biennale di Venezia ci siamo esibiti al Parlamento Europeo a Bruxelles, ed i riconoscimenti sono stati unanimi considerando, poi, che l’orchestra non ha dietro di se figure artistiche impressionanti come Abbado o Muti ma nasce dalla mia volontà e di quella di Paola Stelzer. Una conferma sulla serietà del progetto, motore già sufficiente per mettere in campo energie positive.
Incipit d’iniziative come Kilometro Zero e Centimetro Zero, una rassegna costituita da 13 appuntamenti cameristici aventi come tema la musica “iberica” come ci spiega Isabella Turso, direttrice artistica di Centimetro Zero che ci raggiunge…
Esattamente, con l’idea di continuare l’obiettivo principale di Centimetro Zero, cioè avvicinare, accorciare idealmente le distanze, abbiamo cercato di creare una stagione di musica da camera con musicisti provenienti da Spagna e Portogallo La tradizione musicale iberica si rivela mettendo in risalto i punti in comune che ci sono nella loro e nella nostra musica. Questa collaborazione nasce principalmente per creare una rete di progetti europei, l’anno prossimo molto probabilmente saranno coinvolti Francia e Belgio, ci sarà inoltre un progetto multimediale e altro ancora .
Un decollo verso …?
Verso un Europa unita, poi credo che in un momento come questo sia importante creare rete avvicinando le diverse culture.
M° Dini Ciacci leggendo il programma oserei dire: armonie in movimento tra classico e contemporaneo, condivide?
Si, l’idea di kilometro Zero e Centimetro Zero richiamano l’idea del movimento quindi di un viaggio. Noi dobbiamo pensare alla musica come un grande viaggio attraverso i secoli quindi sospinti dal tempo ne percorriamo gli effetti, gli stili, le sfumature. Amplifichiamo la nostra conoscenza sorvolando le varie situazioni, senza interruzioni, senza fermate alla scadenza del vecchio millennio e con molta disinvoltura notiamo che in fondo fra Beethoven e il jazz c’è una certa continuità e la differenza è una differenza d’impostazione che la stessa umanità, nel corso dei secoli, attraverso il suo relativo progresso ha maturato. Avvicinamento di generi musicali nonostante la loro collocazione storica, un’esperienza interessante anche dal punto di vista dell’ascoltare che percepisce situazioni molto differenziate come la realtà odierna, molto frammentata. Esistenza che credo l’Arte debba rappresentare con una certa spregiudicatezza
Luciano Berio: consapevolezza della tradizione e sperimentazione di nuove forme della comunicazione musicale, cosa ci può dire sulla sua pluriennale collaborazione con Berio?
Con Berio, al di la del rapporto umano molto importate, ho sviluppato un onnivora curiosità verso tutti i fenomeni artistici e non artistici perché in realtà noi tendiamo a selezionare a categorizzare troppo, mentre la realtà come la musica è sotto i nostri occhi, basta saperla osservare, valutare, percepirla. Purtroppo tendiamo a subire la mercificazione del reale sbraitato dalla quotidianità televisiva, per esempio, piuttosto che riflettere e selezionare. Berio invitava a non avere pregiudizi ma una visione totalmente aperta ed essere in grado di riconoscere ciò che c’è di buono sia nel rock che nella classica, sia nel jazz che nella musica etnica, sia nel folk che nella musica iberica. Bisogna capire che la produzione dei suoni, la musica non è altro che questo, va selezionata in base alla nostra cultura e al nostro gusto, l’invito, quindi, è quello di essere curiosi, colti e con un animo disposto verso il divertimento perché l’Arte è un grande dono e va vissuta con passione.
Ha diretto numerose orchestre da quella del Maggio Musicale Fiorentino all’Orchestra del Teatro La Fenice all’orchestra RAI di Roma e Napoli, solo per citarne alcune. Cosa pensa le abbia trasmesso e cosa hanno lasciato dentro di lei?
Non sono così entusiasta del rapporto con le grandi orchestre. Ho scelto, infatti, proprio per il diverso impatto, di defluire verso un orchestra non grande, ma di giovani.
Le orchestre in questo momento soffrono tantissimo una crisi d’identità, forse sarò un po’ provocatorio nell’affermare che, sono molto burocratizzate, culturalmente poco o affatto evolute perché ostaggio di direzioni artistiche quanto meno bizzarre ed immerse in delle logiche assolutamente incomprensibili, ma resta il fatto che sono corpi che stanno lentamente pagando la crisi dei numeri, economica e del rinnovamento culturale. Preferisco di gran lunga un investimento nelle orchestre giovanili dove può nascere un rapporto creativo e dove si respira aria di rinnovamento.
Lei è anche titolare della cattedra di Esercitazioni orchestrali presso il Conservatorio “B.Marcello” di Venezia. Croce e delizia dell’insegnamento.
L’insegnamento è un tasto dolentissimo perché la famosa riforma è arrivata troppo tardi, di conseguenza si lavora su un tessuto che non è più così sano. L’80% dei diplomati in conservatorio non lavora, quindi insegnare a chi non lavorerà è una croce. La delizia e quella di suscitare negli allievi una sana curiosità e dare loro una professionalità che se non in Italia da qualche parte potranno sfruttare, non è un caso che alcuni miei bravi allievi si siano travasati nell’J.Futura Orchestra. La conferma più concreta che il percorso intrapreso ha una direzione e un significato
Insegnare e dirigere: due aspetti molto differenti del comunicare musica ad altri musicisti.
Esatto. Bisogna restituire dignità alle professioni. In Italia, purtroppo, vi è un equivoco molto ridicolo: suonare in orchestra è una specie di “deminutio” rispetto a fare il solista o il camerista, ritengo che non sia così. Suonare in grandi orchestre, come nei Berliner Philharmoniker, nei Wiener Philharmoniker, nella London Symphony Orchestra, non solo è un onore ma è un prestigioso ruolo costruito professionalmente con competenza e carattere, certo non si può improvvisare e le orchestre italiane non sono allo stesso livello di quelle internazionali
Che rapporto ha con gli orchestrali?
Credo che da parte mia ci sia il massimo della collaborazione e una notevole trasmissione di conoscenza, ma molto spesso mi accorgo che l’orchestrale, ancora oggi, è legato alla misera parte che ha davanti agli occhi: non vede l’ora di cominciare e di finire. Questo però non succede con i ragazzi, con loro stiamo cercando di costruire un percorso che vada oltre la parte, che porta alla conoscenza della propria identità, attraverso una sinfonia, del proprio pensiero dal quale possono nascere riflessioni e innovazioni utili al progresso delle arti.
Esperienza, emozioni, spartiti il banckground del musicista?
Il musicista innanzitutto è un essere umano. In questa sua essenza s’incontra la vita che credo vada vissuta evitando di essere specialisti, come ripeteva spesso Berio, ma cercando di coglierne la completezza dei suoni, dei sapori, delle forme, delle dimensioni e della bellezza.
Secondo lei può esistere il mondo senza musica?
Si, ma sarebbe orrendo.
La sua direzione in tre aggettivi
Onesta, efficace, divertente.
di Antonella Iozzo
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(25.02.2012)
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