Monteverdi, modern interpretation for Alten Musik Festival

Monteverdi, Il ritorno di Ulisse in Patria, modern interpretation for Alten Musik Festival. Dalla leggenda al reale per la regia di Ole Anders Tandberg che parla d’interpretazione quasi psicoanalitica, effetti virtuali sul fondale e il destino di Ulisse e Penelope danzante in un continuum di situazioni al limite.

di Antonella Iozzo

Innsbruck (A) – I 450 anni dalla nascita di Monteverdi e quelli dell’inizio del regno di Ferdinando II nel Tirolo. Doppio anniversario in musica con Innsbrucker Festwochen der Alten Musik. Celebrazioni on the stage con la rappresentazione de “Il ritorno di Ulisse in Patria”, di Claudio Monteverdi, appunto, e da un concerto di musiche dedicate al sovrano amante delle arti, che fece edificare il Castello di Ambras.

Premiere de Il ritorno di Ulisse in patria di Claudio Monteverdi, il 10 agosto scorso al  Tiroler Landestheater, regia firmata dal norvegese Ole Anders Tandberg, a dirigere l’abilissima Academia Montis Regalis, il maestro Alessandro de Marchi.

L’attesa è quella dei grandi eventi, la rappresentazione sul borderline tra antico e moderno con soluzioni che spesso lasciano a desiderare, il finale lieto, ha proclamato ancora una volta l’abilità finissima dell’orchestra e del direttore.

Dalla leggenda al reale con una messa in scena che parla d’interpretazione quasi psicoanalitica con effetti virtuali sul fondale e il destino di Ulisse e Penelope danzante in un continuum di situazioni al limite.

Christine Rice nel ruolo di Penelope indossa un abito da sposa fin dall’inizio per simboleggiare la sua cieca e caparbia fedeltà a Ulisse, scomparso da più di 20 anni. Un tempo infinito nel quale combatte con pretendenti e tentazioni sempre più insistenti. Vocalmente modesta e con poco pathos la Rice non conquista il pubblico. Decisamente più convincente Kresimir Spicer nel ruolo di Ulisse, soprattutto nei passaggi intimi. Tecnica interpretativa e presenza scenica.

La regia di Tandberg mette a dura prova la nobile mitologia greca e l’allure di Monteverdi, che spesso la stravolge con la fascinazione attuale. Incursioni contemporanee, allusioni e invenzioni non sempre necessari.

Il sipario si apre su un lungo tavolo, che nel corso dell’opera diventa luogo, simbolo, icona dell’intera storia, tutto ebbe inizio intorno al tavolo, e rimarrà fino alla fine testimone silenzio del tempo. Ed intorno al tavolo il prologo, in cui l’Humana Fragilità si contrappone al Tempo, alla Fortuna e all’Amore, sembra aprire, predisporre la sensibilità all’ascolto di una delle più intense pagine dell’opera, il lamento di Penelope (“Di misera regina”). Al dolore segue l’esuberante vitalità dell’ancella Melanto, Vigdis Unsgård, che intreccia un duetto con il suo Eurimaco, Petter Moen, in questo a caso, più che un duetto direi che approccia un espressivo coinvolgimento fisico in linea con lo stile di Tandberg.

Penultima opera di Monteverdi con partitura incompleta, che il maestro De Marchi risolve brillantemente inserendo due suoi madrigali che ben si adattavano alla situazione scenica: “Zefiro torna”, e ovviamente il “Lamento della ninfa”. Soluzione ben costruite anche per l’orchestrazione, innestando su una partitura che contiene solo il basso continuo, un sorta di improvvisazione ben congeniata. Un’elegante versione sonora, dove ombreggiatura, delicatezza, ritmi elevano la musica e ne riscrivono l’essenza in un madrigale vicino al rinascimentale e allo spirito jazz.

Originalità e scene quasi da musical nel secondo atto con “Zefiro torna”, sul palcoscenico i tre pretendenti vestiti da marinaio con tre …gambe, inscenano una coreografia che strizza l’occhio al pubblico.

Il ritorno di Ulisse in Patria, Musica: Claudio Monteverdi, Libretto: Giacomo Badoaro da Omero. Pulsioni e pulsazioni, anima e corpo, il mondo degli idei e quello umano.

Armonici contrasti che in musica creano elegia di rarefazione unica con l’organo e gli archi che rappresentano gli dei, e il semplice accompagnamento continuo la sfera umana.
Un percorso musicale che l’orchestra esegue con vigore e tecnica, perfezione e controllo.

Mix di antichità, eroi e reale contemporaneo che in certi momenti contribuiscono a dare all’opera il piglio di una grottesca commedia musicale.

Azioni e significati sembrano esprimere una ricerca per il nuovo nella quale notiamo la complessità psicologica ed espressiva di Telemaco interpretato da David Hansen.

Surreale, onirico, a volte traumatico, è l’impressione del fuggevole che ci passa davanti agli occhi o meglio sul palcoscenico con Eumete e Telemaco che cercano di convincere Penelope a riconoscere Ulisse, mentre Minerva, Giunone, Giove e Nettuno pongono fine alle peripezie di Ulisse. Ann-Beth Solvang (Minerva) si distingue, è energica, enfatica e quasi eroica.

Un ritorno, quello di Ulisse che si conclude con il lieto fine romantico sotto una neve kitsch. Amore per sempre, amore sia, amor duraturo? Qualche dubbio rimane.

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di Antonella Iozzo ©Riproduzione riservata
                  (14/08/2017)

 

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