Prégardien e Barenboim

Barenboim per Wagner gronda dolore e affettività
La direzione armoniosa di Prégardien a unificare elementi

di Giorgio Pestelli

LohengrinTorino – Sono molteplici e spesso inconfessate le ragioni per cui uno spettacolo musicale, una esecuzioni sinfonica o da camera ci appare come qualcosa di superiore, di perfetto, di unico;certo,molto consisterà nella capacità dell’interprete di dare freschezza creativa a opere anche consuete,quasi facendole ascoltare per la prima volta; ma molto dipenderà anche dalla nostra condizione d’animo al momento della percezione, da qualche felice congiuntura che ci ha reso particolarmente ricettivi e sensibili;quindi più che decretare quello che è stato <<il meglio>> in senso assoluto, è forse preferibile dare indicazioni che valgono come orientamenti personali o come ripensamenti delle ragioni che hanno fatto considerare alcuni avvenimenti come segnati da una qualità superiore.

Per quanto mi riguarda, il ricordo che spontaneamente si fa strada sopra tutti è quello della “Passione secondo Giovanni” di Bach diretta da Christoph Prégardien nei giorni di Pasqua al Lingotto di Torino, con i gruppi strumentali e vocali del “Concert Lorrain e del Nederland Kamerkoor; di << Johannes-Passion>> bachiane ne ho sentite a decine, tante anche di livello altissimo, come quelle dirette da Karl Richter, ma non mi è mai capitato di sentirne una dove i protagonisti siano <<entrati nella parte>> con l’immedesimazione di questa:il racconto dell’evangelista era un variare continuo di emozioni sprigionate dal senso delle parole, il tocco umano di Gesù (<<donna ecco tuo figlio>>) più che commovente;ma non solo i protagonisti,anche figure di contorno che cantano poche battute:esempio,Pilato,che era il grande baritono Dietrich Henschel, ritratto vivente di un uomo turbato e infastidito da tutto quel premere intorno a lui. E quel Coro olandese! Inarrivabile per bellezza di suoni e scioltezza di fraseggio, vero nella ferocia del canagliume come nella dolcezze dei corali stesi come balsamo sulle ferite; su tutto la direzione armoniosa di Prégardien a unificare elementi che tutti soffiavano dalla stessa parte completandosi a vicenda.

Il pericolo per me più grave del sistema musicale italiano è la routine, il livellamento prevedibile: sarà per questo che mi è piaciuto tanto il “ Lohengrin” che ha inaugurato la stagione della Scala con una forza che saltava fuori dagli schemi; Wagner sapeva benissimo che il suo “Lohengrin” non è un eroe felice, ma essere oppresso da una patina di malinconia e di lontananza che lo attraversa;certo, il regista Claus Guth ha spinto le cose all’estremo, non gli bastava rappresentare un uomo oppresso dalla necessità, triste e angosciato, ne ha fatto un eroe lesionato, nevrotico;eppure,malgrado ciò, con un interprete fra le mani come il tenore Jonas Kaufmann, ha foggiato un personaggio che giocava sulla disarmonia fra la sfolgorante bellezza della musica e il sentimento dell’esiliato, di un eroe in disparte dal proprio eroismo,appartenente a un’altra sfera:continuamente rincalzata dalla direzione di Daniel Barenboim, piena di un’affettività grandiosa e dolorosa.

Solisti di vaglia nelle nostre sale ne sono passati tanti come in ogni stagione;ma un posto d’onore deve essere fatto per il pianista Aldo Ciccolini nel suo ultimo concerto tenuto al Carlo Felice di Genova; raggiunge il pianoforte con passi che rivelano i suoi 87 anni, ma una volta seduto rientra in una prodigiosa giovinezza, dove ritrova i suoi autori, Debussy e Saint-Saèns fra gli altri, con la trasparenza di una perenne classicità.

di Giorgio Pestelli
  (05.01.2013)
La Stampa

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