Temirkanov sul podio del Congress Innsbruck

Dalla Russia con ardore, la St. Petersburger Philharmoniker affascina il pubblico del Congress Innsbruck con Prokofjew Shostakovich e Schumann. Rigore e seduzione con Yuri Temirkanov alla direzione e Elisso Virsaladze al pianoforte

di Antonella Iozzo 
TemirkanovInnusbruck (A) – Sold out per la St. Petersburger Philharmoniker diretta da Yuri Temirkanov, lunedì scorso, presso la Saal Tirol del Congress Innsbruck. La sublime ambivalenza della musica russa di Prokofjew e Shostakovich ha incastonato la romantica espressività tedesca di Schumann. Dalla Russia con ardore un programma che ha messo in luce la sorprendente abilità tecnica e il coinvolgimento emotivo degli artisti.
Il concerto inizia con la Sinfonia n. 1 in re maggiore, op. 25 detta “classica” di Sergej Prokofiev, composta nel 1917, fatidico anno della Rivoluzione d’ottobre, e porta con se i segni dello sfolgorante apprendistato creativo di Prokofiev.
La Sinfonia non è un’imitazione dello stile settecentesco ma la creazione di un compositore moderno che procede fra vecchie strade abitate da nuove generazioni.

La St. Petersburger Philharmoniker ne definisce ogni tratto nel pieno rispetto filologico. Attenta, serrata, precisa, incide il primo movimento, l’Allegro, che rapido e leggero fluttua in un’infinita gamma di sfumature. L’intonazione è impeccabile, l’intensità, la ricchezza timbrica dei violini e l’accompagnamento in staccato del fagotto si elevano in perfetta sintonia con il gesto di Temirkanov che ne amplia il respiro. Il successivo Larghetto, molto aggraziato, effonde accenti di tenerezza nei registri più alti dei violini, la cui purezza esecutiva è decisamente eccelsa e travolgente con la pungente Gavotta, qui si colgono echi di canti popolari russi dalla forte vivacità espressiva, mentre nel gaio Finale Molto vivace, arpeggi ascendenti e discendenti, passaggi di scale, pullulano dai violini in distillati di inafferrabile sensibilità che s’innestano con lo spirito arguto del sinuoso e ondulante motivo dei legni. L’esposizione si conclude con una frase melodica tipicamente russa, quasi un prima del canto russo dove tradizione e innovazione convergono nelle tante anime di Prokofjew.
Suono avvolgente, colore, ritmo serrato, Temirkanov e la St. Petersburger Philharmoniker ne danno un’interpretazione che ne scolpisce il carattere.

Si procede con il Concerto in la minore per pianoforte e orchestra, op. 54, una delle opere più dense di Robert Schumann, solista Elisso Virsaladze.
Il primo movimento, Allegro affettuoso, si apre, dopo l’introduzione orchestrale, con una scrosciante cascata di accordi del pianoforte solo, un gesto imperioso e brillante. Virsaladze affida alla voce del pianoforte l’espressione del ricco mondo poetico schumanniano che incontra le sonorità dei clarinetti e dell’oboe. Sembra quasi nascere una nuova melodia avviata dal solista e immersa in un clima psicologico di straordinaria intensità. E’ musica di straordinaria forza espressiva che culmina in un’assorta e fantasiosa cadenza. Virsaladze ne cesella ogni frammento, con tatto, grazia e sensibilità ne ricama la densità armonica per poi dissolverla in una coda di vivace e appassionata musicalità.
Nel secondo tempo il tocco della Virsaladze e i gesti garbati e danzanti di Temirkanov scrivono una delle pagine più intime dell’intera serata. S’incontrano, si sfiorano, si librano nell’aria e scivolano sul tappeto sonoro dei violoncelli che svolgono un tema ampio e ricco di affettuosa sentimentalità, ripreso dai clarinetti e dalle viole. L’effetto armonico-timbrico dell’Allegro vivace introdotto dal pianoforte sublima un groviglio di emozioni dispiegate dagli archi, fino al sopraggiungere dell’oboe, coinvolgente lirismo che ci conduce al finale, un trionfo di brillanti e splendenti sonorità. L’intera orchestra sfocia in una stretta vorticosa di forza propulsiva, è uno slancio dell’anima schumanniana, inebriata di amore e di gioia per tutto ciò che di più nobile esiste nella vita e che Virsaladze, la St. Petersburger Philharmoniker e Temirkanov hanno innalzato oltre l’immenso con un’interpretazione limpida, intelligente e consapevole esprimendo nel profondo i valori della musica eseguita.

Seconda parte completamente dedicata a Dimitri Shostakovich con la Sinfonia n. 10 in mi minore, op. 93. Ancora essenza russa sul palcoscenico da dove la musica sembra elevarsi per incontrare l’invisibile sensazione, il mistero che nasce in noi quando la luce rapida e improvvisa della composizione riverbera in essenza materica.
La Decima è la prima partitura di Shostakovich del dopo Stalin, ed è stata spesso letta come una denuncia della personalità del dittatore. Ma Shostakovich e la sua musica vanno oltre, aprono una coscienza estetica e dall’ineffabilità espressiva nasce nuova libertà creativa evidente dal taglio fortemente introspettivo della partitura.

Ad aprire la sinfonia una lunga melodia sinuosa esposta da violoncelli e contrabbassi, è un Moderato che scorre lentamente sottopelle, seguono i temi esposti dal clarinetto e dal flauto in un continuo percorso di tensione-distensione, un percorso emozionale, che fonda la propria forza sull’intreccio e sulla sovrapposizione di linee, sui contrasti e sugli agglomerati dei timbri, sull’insistenza allucinatoria dei ritmi. La tensione è al massimo prima di stemperarsi progressivamente nel mormorio sinuoso dei bassi, unito al brusìo dei timpani e al suono aspro dell’ottavino. È come se la notte nella vastità della sua respirazione si eclissasse con il suono del silenzio, è una dimensione resa magnetica dall’orchestra capace di assecondare ogni palpitazione sonora.
Un affresco iniziale al quale si contrappone la brevità del secondo tempo, l’Allegro, uno Scherzo su un tema di marcia incalzante e grottesco. La puntuale incisività ritmica orchestrale solleva la violenza fonica, mentre la direzione di Temirkanov acquista sempre più sostanza espressiva, sottolineando con energia il consistente apporto delle percussioni.

L’impatto emotivo è sorprendente, è un fiume che avanza travolgendo la percezione dei sensi fino a giungere all’Allegretto, in cui il tema sinuoso dei bassi che hanno aperto la Sinfonia si è trasformato in un valzer; archi e fiati si alternano ma è il misterioso richiamo del corno, perfettamente intonato, come tutta la sezione degli ottoni, a catalizzare la nostra attenzione. E’ una totalità bruciante capace di scuotere il fermento mentre il mormorio dei violoncelli e dei contrabbassi aprono il Finale. Incendi di malinconia intonate dai legni, tono drammatico che deborda la composizione e un ottimismo intriso da un’incisività ritmica e da una timbrica graffiante si dilatano e si comprimono in una musica che fende le certezze, stritola il tormento ed edifica il rarefatto arcipelago del reale intorno a noi, nell’ampia parabola musicale. Il linguaggio tormentato, ricco di chiaroscuri, di allusioni, di amara ironia dell’intera sinfonia è stato reso dall’orchestra incalzante dal principio alla fine grazie ad un ritmo frenetico e ad effetti strumentali laceranti. Magnifiche suggestioni svettano nel gesto vitalistico di Temirkanov che conferisce all’interpretazione un carattere affermativo e brillante. Scroscianti applausi irrompono in sala richiamando più volte il direttore sul palcoscenico per un ultima e sentita seduzione del suono.

di Antonella Iozzo©Riproduzione riservata
                     (05.12.2012)

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