The Great Gatsby puro splendore visivo, romanticismo e commedia

The Great Gatsby al Broadway Theatre, una cascata di jazz degli anni ’20, musica ruggente, luci e scenografia spettacolare che conquista il cuore e i sensi, anche se non tocca la profondità delle follie edoniste. È musica in rapida successione, è danza in paso doble con l’energia visionaria di una festa che stupisce, cattura e crea spettacolo.

di Antonella Iozzo

Broadway (New York) – The Great Gatsby, il musical attualmente in scena al Broadway Theatre, incanta e affascina con l’opulenza degli anni ’20. Una versione sfarzosa del romanzo di F. Scott Fitzgerald che risveglia la magia dello spettacolo, badando di meno alla sostanza Scenografie sfavillanti e movenze ritmate segnano una reinterpretazione molto divertente del classico americano.

Basato sul romanzo del 1925 di F. Scott Fitzgerald, The Great Gatsby, diretto da Marc Bruni, racconta del garante Nick Carraway (Noah J. Ricketts) che trasferitosi a West Egg diventa vicino di casa e amico inaspettato del milionario self-made e dio delle feste Jay Gatsby (Austin Colby). Nick si ritrova così, a partecipare a un piano per aiutare Gatsby a riunirsi con il suo amore del passato Daisy Buchanan (Eva Noblezada). Daisy, però è sposata con il violento Tom Buchanan (l’eccellente John Zdrojeski), “particolare” che porta la storia d’amore della coppia verso un’inesorabile rotta di collisione.

The Great Gatsby, scritto da Kait Kerrigan è e sembra essere una storia di amore, passione, tormento, sogni e soldi che susseguono nell’euforia del dopoguerra, ma il tono, le scene, a volte, seguono un andamento scostante che mette in luce la storia d’amore drammatica e seria tra Gatsby e Daisy per poi, seguire il ritmo di una commedia stravagante condita con battute e personaggi di poco gusto, ma alla fine si ritrova comunque il giusto equilibrio.

La musica, scritta da Jason Howland con testi di Nathan Tysen, è accattivante, esplosiva, tenera e sensuale. Un mix di generi che si susseguono e avanzano con il ritmo di una verità che deborda sul sentiero di quel reale che vorremmo dimenticare. Romantiche evasioni, innocenti situazioni come il duetto di Daisy e Gatsby “My Green Light”.  E poi la fresca e divertente “Shady” del gangster Meyer Wolfsheim (Eric Anderson) e la toccante riflessione di Daisy sul suo matrimonio senza amore, ovvero “For Better or Worse“. Un crescendo di emozioni sonore che raggiungono l’apice con le ballate “For Her” e “Beautiful Little Fool” grazie alle incredibili performance vocali di Austin Colby e Eva Noblezada. Ed è ancora Daisy (Noblezada) a conquistarci, con la sua aria svolazzante e protesa verso l’incanto anche se vagamente infelice quando la incontriamo in un salotto Art Déco con finestre che si affacciano sul Long Island Sound mentre canta ” God, I’ve made it “, canta Daisy, avvolta in un abito corto e diafano. Note di forte apprezzamento per Nick Carraway (Noah J. Ricketts), nonostante il suo ruolo sia stato fortemente ridotto, la sua performance ammirevole e decisa, riesce a fare di Nick un amico spiritoso e fedele, forse troppo puro e ingenuo per questo mondo.

La produzione ricorda in un certo qual modo le ville di Las Vegas, con forti richiami Art Déco. Pezzi scenici laccati d’oro e uno schermo di proiezione vertiginoso ricreano scene nella magnificenza della villa di Gatsby grazie alle strepitose feste con ballerini talentuosi e dinamicamente perfetti che evidenziano il taglio dei costumi di Linda Cho da flapper scintillanti con diversi motivi Art Déco nei tessuti.

The Great Gatsby, tutto il cast sul palcoscenico dà il meglio di sé ed esplode la magia. Vitalità ed energia, intrecciano vortici nell’aria sfarzosi quanto glamour ricordando i ruggenti anni Venti, tutto è meraviglia, pathos che non può essere replicato.

Lo sguardo è rapito da una costellazione di luci, scoppiettanti fuochi d’artificio, bagliori, effetti iridescenti, cromatici che svettano in iperbole di bellezza danzante rappresentata dagli abbaglianti costumi d’epoca, della stilista Linda Cho, e dalla splendida scenografia e design delle proiezioni di Paul Tate DePoo III.  Ma anche l’uso della scintillante auto d’epoca una Rolls Royce gialla che non solo appare sul palco, ma accompagna uno scenario che cambia rapidamente. Si c’è l’euforia di una festa vertiginosa ma anche una vista contemplativa del Long Island Sound con le sue onde increspate e la luce verde solitaria del molo lontano, ma, sì, le immagini ci bombardano.

Tutto è una festa per gli occhi, proiezioni, scenografie ed effetti visivi che catturano e ammaliano, come appunto l’auto che sfreccia via dalla Valley of Ashes ed entra nell’opulenza della bella vita. Drammaticità, amare verità, povertà ed opulenza portate alla ribalta dall’amante di Tom, Myrtle (Chilina Kennedy) e dall’ afflitto marito George Wilson (Paul Whitty).

Con un forte accento newyorkese esprimono fortemente il carattere e l’esasperazione della classe operaia, i cui destini sono intrecciati con quelli dei ricchi. Un amore violento quello di Tom e quando con un pugno in pieno viso rompe il naso di Myrtle, in un squallido appartamento in centro, il tempo per un attimo sembra fermarsi ma non trova la forza drammatica né un costruttivo umorismo, per un momento è solo esposizione.
È se Myrtle l’amante di Tom, interpretata da Chilina Kennedy, una donna che si ritrova imbrogliata fuori dalla bella vita, è lucida presenza scenica, lirismo e potenza evocativa, così il marito George Wilson, un robusto meccanico oppresso interpretato da Paul Whitty esprime forza, potenza vocale e presenza scenica.

Amore, denaro che ritornano e stravolgono e ricamano perfino una trama romantica esplosiva tra Nick e l’implacabile Jordan Baker, interpretata da una travolgente e mirabile Traci Elaine Lee.

Si una festa nella festa che dinanzi a noi inscena lo splendore delle feste di Gatsby, dove il magistrale ensemble salta, ondeggia e balla il tip tap seguendo l’energica coreografia di Dominique Kelley. Una coreografia azzeccata, capace di catturare la natura spensierata dell’epoca con qualche Charleston occasionale e una acuta sottolineatura del tango di Gatsby con il mercato nero, ambientato in un numero di danza in trench in stile Matrix intitolato Shady.

Come la scrittrice Kait Kerrigan, anche il regista Marc Bruni sembra aver difficoltà a tenere il ritmo durante il primo atto, scivolando pericolosamente verso una pulsazione sfrenata di allegria cosmica ma nel secondo atto la realtà entra in scena con il suo carico drammatica e il divertimento si spegne lentamente.

The Great Gatsby, una cascata di jazz degli anni ’20, musica ruggente luci e scenografia spettacolare che conquista le emozioni, le suggestioni, il cuore e i sensi, ance se non tocca la profondità delle follie edoniste e non sfiora la pericolosità delle passioni fuori controllo. È musica in rapida successione, è danza in paso doble con l’energia visionaria di una festa che stupisce, cattura e crea spettacolo. Puro splendore visivo, dietro, sullo sfondo bagliori di una tragedia che esplora la divisione di classe, la corruzione, il lato oscuro del sogno americano, ma qui ad emergere è una storia d’amore in tempi sfortunati.

The Great Gatsby – Broadway Theater
https://broadwaygatsby.com/

 

di Antonella Iozzo ©Riproduzione riservata
                  (08/10/2024)

Production Photos (credit Matthew Murphy and Evan Zimmerman)

Running time:  2 hours 30 minutes, including an intermission.
Tickets: $50 – $348 (Digital lottery $45, general rush $40, student rush $25.)
Book by Kait Kerrigan; Music by Jason Howland; Lyrics by Nathan Tysen; Based on the novel by F. Scott Fitzgerald; Music arranged by Jason Howland; Music orchestrated by Jason Howland and Kim Scharnberg; Directed by Marc Bruni; Choreographed by Dominique Kelley; Set and Projection Design by Paul Tate de Poo III; Costumes by Linda Cho.

 

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