Sul palcoscenico la Verbier Festival Chamber Orchestra, Gábor Takács-Nagy direttore, András Schiff al pianoforte. È tempo che il suono dell’anima tocchi le corde della natura, è tempo del Verbier Festival e della sua magia.
di Antonella Iozzo
Verbier (CH) – Verbier Festival 2018, 25 anni di emozioni nel cuore delle Alpi. L’incanto della natura, la magia della musica, in un afflato di unicità che rilascia il senso e l’essenza dell’inafferrabile. Il Verbier Festival è unico ed inimitabile per la sua capacità di regalare grandi concerti con artisti internazionali di grande fama e per la sua attività di formazione attraverso l’Academy, la Verbier Festival Orchestra e la Junior Orchestra, i laboratori Discovery e una serie di eventi Fest’Off.
La 25esima edizione del Verbier Festival, svoltasi dal 19 luglio al 5 agosto 2018 ha conquistato pubblico e critica con 59 concerti, 88 artisti internazionali e 270 musicisti.
La musica al suo miglior livello con Martha Argerich, Sergei Babayan, Kristóf Baráti, Yuri Bashmet, Vilde Frang, Martin Fröst, Ilya Gringolts, Andrei Ioniţă, Janine Jansen, Leonidas Kavakos, Evgeny Kissin, Daniel Lozakovich, Mischa Maisky, Denis Matsuev, Mikhaïl Pletnev, Thomas Quasthoff, Julien Quentin, Vadim Repin, solo per nominarne qualcuno e Valery Gergiev nominato direttore musicale della Verbier Festival. Un compleanno al top!
Musica nelle sue diverse declinazioni che diventa parte integrante del magnifico paesaggio con il Mont Blanc sullo sfondo e in sala il respiro all’unisono della Verbier Festival Chamber Orchestra sotto la guida del direttore Gábor Takács-Nagy che alla Salle des Combins ci regala una delle pagine più intense di Joseph Haydn “Les sept dernières paroles du Christ en croix Hob. XX/1:A”. Una prima parte del programma intima e profonda una sentita commemorazione alle vittime della prima guerra mondiale dispiegata attraverso sette voci recitanti. Ognuna in una lingua diversa dall’inglese all’ungherese per esprimere l’universalità delle ferite che riverberano il suono della sofferenza.
La composizione si articola in sette sonate in tempo lento che meditano sulle ultime frasi pronunciate da Cristo sulla croce. Due battute fulminanti aprono la maestosa Introduzione. L’orchestra irrompe decisa e compatta sotto il segno inciso e netto di Takács-Nagy.
La prima Sonata, un Largo “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” avanza dolcemente sviluppando il tema con un andamento discendente quasi a voler condurci sull’intimità delle parole.
Si, parole e musica che dialogano in un crescendo emozionale assorto e pregno di sentimento, fino al Grave e cantabile della Sonata II “In verità ti dico: oggi sarai con me in Paradiso” introdotta dai violini primi raddoppiati dai violoncelli. L’intera esposizione è un continuo crescendo che il gesto passionale e vocato di Takács-Nagy rende quasi mistico che avanza in una trama intrecciata dagli archi che sembra aspirare alla speranza della salvezza. La Verbier Festival Chamber Orchestra è tutt’uno con il direttore, libra il suono fino alla poesia che le parole inscenano con garbo e sentimento, poi, il tempo Grave di “Donna, ecco tuo figlio, e tu: ecco tua madre” caratterizzato da una melodia instabile e ricca di modulazioni inaspettate e dal ritmo vagamente sincopato, lascia l’anima in bilico tra lirismo e suggestione.
Espressività orchestrate tesa al massimo livello dagli archi per il successivo Largo “Dio mio, perché m’hai abbandonato?” con un intonazione tragica e dolente seguita da un Largo e Cantabile esclusivamente affidato ai flauti teneri e struggenti come gli oboi, clarinetti, corni, tromboni, fagotti.
Il quinto brano (Ho sete) è un Adagio che entra a passo felpato con i pizzicati degli archi, sussurri lievi quasi a sorreggere la melodia dei violini. Ogni singolo musicista è completamente rapito dall’inafferrabilità della musica e dal trasporto del direttore. Ogni suo arto, ogni suo gesto, ogni sua espressione del viso è musica, emozione, che ci trasporta nel clima espressivo di angoscia, temperato alla fine, da un sentimento di rassegnazione.
Il sesto brano “Tutto è finito” drammatico e solenne induce alla riflessione e ci conducono tra le nuance espressive del clarinetto, del fagotto e del flauto.
L’atmosfera è pregna di tensione emotiva la parola entra in scena per la settima e ultima volta attraverso al voce del direttore. Takács-Nagy lascia per un istante la sua bacchetta e usa il suono calmo e potente della sua espressività vocale per incedere tra le palpebre dell’anima. All’unisono con il suo essere musica e parola incide la percezione liquida del sensibile e ritorna foriero delle sue evocazioni sul podio per il settimo brano un Largo “Padre, rimetto la mia volontà nelle tue mani”, di lineare purezza melodica, penetranti effetti timbrici di evocazione poetica che ci conduce alla conclusione con “Il terremoto” attacco robusto ed incisivo dell’orchestra, ravvivato da strappi degli archi, quasi a voler sottolineare visivamente fulmini e movimenti tellurici: paura e smarrimento investono l’ascoltatore e lo invitano a riflettere sul dramma. Limite umano, umana passione o solo lucida ragione che vibra nell’umano. Dalla musica la riflessione e viceversa, e l’applauso finale lascia il posto al sensibile traslato in umana riflessione.
Seconda parte dedicata a Ludwig van Beethoven con il “Concerto per piano e orchestra n.4 in sol M” solista András Schiff. Sensibilità acuta e tecnica raffinata per n’interpretazione elegante ed evocativa.
Essere connessi con la meraviglia è semplice al Verbier Festival se al piano c’è András Schiff. Bellezza che rimbalza in musica, in impalpabile sonorità, in impressioni di rarefazione melodica.
Tocco, anima, emozione, la breve entrata di Schiff nell’allegro Moderato iniziale precede l’esposizione orchestrale È un dolce quanto incisivo tocco che sorprende ed ammalia, è come se Schiff con estremo garbo levasse il sipario su un paesaggio sonoro d’impronta squisitamente pianistica che, gli archi completano fino ad una completa integrazione fra piano e orchestra. È un crescendo di sensibile distensione che il direttore Takács-Nagy accompagna con assoluta padronanza e coerenza.
L’Andante con moto essenziale e al contempo poetico è un’empasse emotiva tra solista e orchestra. Intimo arioso, luminoso l’uno, ritmica, intensa, dal colore terreo l’altra. Il Rondò, brillante e leggero, è seguito da un tema dal lirismo conciso, esposto dall’orchestra e ripreso dal pianoforte. Il tocco di Schiff è puro, fulgido e vibrante quasi un limpido raggio di luce che s’inserisce solo per un attimo all’interno della tessitura orchestrale, per imprimere la sua grazia senza fine. Fluidità ricca di arpeggi e una timbrica che danza all’unisono con l’orchestra. E se la scrittura di limpida trasparenza beethoveniana richiama sensazioni estatiche e trasfigurate, l’interpretazione carica di pathos e di cristallina limpidezza di Schiff penetra nel profondo del pubblico che esulta rilasciano uno sfolgorante applauso.
Sul palcoscenico la Verbier Festival Chamber Orchestra, Gábor Takács-Nagy direttore, András Schiff al pianoforte. È tempo che il suono dell’anima tocchi le corde della natura, è tempo del Verbier Festival e della sua magia.
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di Antonella Iozzo ©Riproduzione riservata
(04/08/2018)
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