Con Bruckner un altro trionfo di Muti a Salisburgo. Con i Wiener Muti disegna le grandi arcate del sinfonismo bruckneriano in un vertice liberatorio e trionfale.
di Giangiorgio Satragni
Da tempo il Festival di Salisburgo sceglie Riccardo Muti per il concerto di Ferragosto che, nella storia della manifestazione, Herbert Karajan riservava per sé. Quest’anno è il venticinquesimo della scomparsa di Karajan, al cui ricordo tale matinèe è stata dedicata.
Muti, d’altronde, non ha mai nascosto l’ammirazione e la gratitudine nei confronti del sommo direttore austriaco, che lo fece debuttare più di quarant’anni fa a Salisburgo.Da allora Muti non è soltanto divenuto l’interprete autorevole di molta opera italiana dell’Ottocento, ma anche un rinomato esegeta del sinfonismo europeo e tedesco, anche in fecondo scambio con la tradizione esecutiva dei Wiener Philharmoniker.
Con essi ha riletto ora pagine amate, con la <<Quarta Sinfonia>> di Schubert e la << Sesta Sinfonia>> di Bruckner, lungo quell’asse fondamentale della musica austriaca dell’Ottocento per cui il secondo rivelerà debiti formali nei confronti del primo. La <<Sesta>> è tra le sinfonie meno frequentate di Bruckner: forse per questo Muti l’ama particolarmente, innevata com’è da pulsazioni ritmiche continue e da un lirismo che sotto la sua bacchetta si espande con una distesa cantabilità, con un calore che mai travalica l’espressione ponderata.
Con i Wiener Muti disegna le grandi arcate del sinfonismo bruckneriano facendo in modo che in picchi di suono siano davvero il momento in cui l’intreccio polifonico e la tensione armonica sfociano in un vertice liberatorio e trionfale. Il bello ulteriore è che Muti ottiene questo con un’impressionante economia del gesto. Nell’Adagio esso pare interiorizzato come quello di Celibida che, anche per un legato supremo dall’inizio alla fine, in stretta unione con il controllo dell’intensità del suono.
Non fossimo qui dentro, potremmo solo sognare questi archi con la loro fusione, la morbidezza, l’intelligenza di fraseggio. E potremmo sognare le diverse anime della << Quarta>> di Schubert restituite con tale proprietà, dagli accenti tragici, che sono un’inquietudine interiore, al tono di musica popolare viennese, con la quale Muti e l’orchestra pure su divertono. ( Quot. La Stampa )
di Giangiorgio Satragni
(19.08.2014)
Bluarte è su https://www.facebook.com/bluarte.rivista e su Twitter: @Bluarte1