Chef Alfio Ghezzi. Chi esce dal proprio territorio per crescere, per apprendere nuove competenze poi, porta a casa propria tutto questo bagaglio, per me è stata una grande soddisfazione tornare in Trentino, chiamato dalla famiglia Lunelli.
di Antonella Iozzo
Trento – Tradizione, semplicità e creatività siglano lo stile dello Chef Alfio Ghezzi, interprete di raffinata Arte culinaria della Locanda Margon, a Trento. Nel sapore del passato, il sapere del presente in un crescendo di emozioni gustative che raccontano il valore del tempo.
Il giorno che la cucina cambiò la sua vita?
Non c’è stato un evento particolare che ha cambiato la mia vita, direi piuttosto che ho avuto un percorso frammentato ma sempre in crescita. Ho iniziato, infatti, frequentando la scuola alberghiera, ho proseguito lavorando un po’ negli alberghi, poi mi sono allontanato dalla cucina per dedicarmi ad altro, successivamente sono ritornato in qualità d’insegnante in un centro professionale alberghiero ed in seguito mi sono rimesso a lavorare nei ristoranti, come ultima tappa Locanda Margon.
Si, decisamente, un percorso frammentato ma costellato da nomi celebri come Gualtiero Marchesi. Un particolare ricordo legato al grande Maestro?
Le passeggiate che facevamo a Cannes, quando lavoravo nel suo ristorante, Les Princes, i pomeriggi trascorsi a discutere di letteratura, di cucina, cercando di mettere insieme le tante idee. Ho un bellissimo ricordo di quei momenti.
Lei ha lavorato tanto anche a Milano come sous-chef da “Trussardi Alla Scala”, poi è ritornato in Trentino. Un ritorno alle origini?
Un ritorno come il figlio al prodigo. Chi esce dal proprio territorio per crescere, per apprendere nuove competenze poi, porta a casa propria tutto questo bagaglio, per me è stata una grande soddisfazione tornare in Trentino, chiamato dalla famiglia Lunelli. È un’Azienda di grande prestigio e questo non poteva che farmi piacere, ho accettato immediatamente.
Come interpreta la cultura del cibo?
Interpretando la tradizione. La cultura è strettamente legata all’ambito territoriale: tradizioni, economie, cibo, quindi, cucina, tutto questo determina un profilo culturale, inteso come insieme delle tradizioni che si mantengono nel tempo, è un sapere antico che si stratifica acquistando valore.
Quanto è importante la tradizione e come la si affianca alla creatività?
È fondamentale perché è una garanzia, come dicevo, nel tempo rilascia la sua forza, è questa la sua essenza. Si riesce ad essere creativi quando si ha una percezione precisa della tradizione, quando si è in grado di leggerla,cercando di svilupparla, di evolverla.
Secondo lei conosciamo ciò che mangiamo o andiamo, semplicemente, dietro alle mode?
Credo che le persone s’informano e conoscano sempre di più ciò che mangiano Un tempo si aveva un’altra percezione, chi viveva in campagna o in provincia aveva un rapporto diverso con il cibo, ognuno aveva il proprio campo, il proprio orto, adesso la società ha nuovi ritmi, diverse concezioni. Tutto questo grande fermento, complici anche i media, ha avvicinato le persone al cibo aumentando il livello d’interesse e quindi la competenza a discriminare ciò che è buono da ciò che è meno buono.
Confronti e dialoghi fra chef, quanto importanti e quanto scontati?
Fa parte del sistema, sta a noi riuscire a cogliere ciò che è importante in qualsiasi ambito.
Ha creato molti abbinamenti particolari, polente come dessert, chinotto e grappa per la quarta edizione di Nespresso Gourmet Experience, e se le chiedessi un abbinamento per il Moscato D’Asti?
Il Moscato D’Asti è un vino dolce e siamo nella stagione delle pesche, quindi direi delle pesche al forno con amaretti.
Come nascono questi abbinamenti?
Abbiamo diversi modi di approcciarci ai prodotti. Possiamo seguire quella che viene definita la grammatica dei sapori, cercando di mettere sempre in un piatto i quattro sapori fondamentali: dolce, salato, acidità e amaro. Molto spesso però, credo che la testa di un cuoco sia come una grande rete , dove rimangono impigliati i ricordi, le reminescenze, gli abbinamenti già visti. Essere originali, non significa creare dal nulla, significa, la maggior parte delle volte, riscoprire, cercare di rendere consueto ciò che è desueto, riportare alle origini. Nel caso della polenta, per esempio, si è trattato sostanzialmente di recuperare una tradizione della montagna, io son cresciuto a polenta e latte, un grande classico di queste terre. Non era proprio così strano, quindi, abbinare la polenta al dolce.
Si, ma l’ispirazione?
La maggior parte delle volte sono frammenti che rimangono nella mente, un po’ come accade nella musica o in letteratura, spesso in poesia si sente un verso che ricorda un altro autore, così anche la cucina ricorda quella dei nostri maestri, quella di chi ci ha influenzato di più, ma sempre nel solco della nostra personalità. La mia ispirazione è più legata al territorio, riflette un’impostazione tendenzialmente semplice capace di stupire più per una complessità di sapori piuttosto che per una presentazione scenografica.
In questi lunghi anni professionali, la maggiore soddisfazione?
Essere venuto qui, a Trento, in un ristorante che non aveva ancora un grandissimo pubblico e in soli quattro anni essere riusciti insieme al mio staff, alla famiglia Lunelli, alle Cantine Ferrari, ha renderlo un luogo del piacere enogastronomico sempre più qualificato ed apprezzato.
Le emozioni nella vita di Alfio Ghezzi, e nella sua cucina
Emozione è tutto ciò che rimane stampato nella nostra memoria. Ogni qualvolta un evento, un momento è stato vissuto con particolare trasporto, abbiamo creato un’emozione. Nella cucina sono legate alla creazione di un piatto, ma anche quando vado per ristoranti rimango spesso colpito da un qualcosa in particolare che regala emozione.
Le stelle Michelin si conquistano a colpi di …
A colpi di passione.
Le stelle che accendono la notte che non ti aspetti?
Ognuno di noi è felice quando riceve un riconoscimento di qualsiasi tipo, ti stimola, ti dona forza, forse, le Stelle Michelin sono le più blasonate perché esistono dagli anni ‘30 e per questo, riprendendo il discorso sulla tradizione, hanno ancora più valore, più luce, quella non ti aspettavi illuminasse il tuo percorso.
L’importanza di chiamarsi Alfio Ghezzi
Chiamasi determinazione. Non sono un fuori classe, ma uno che non molla mai. Perseveranza per progredire sempre, costantemente, nel tempo.
di Antonella Iozzo ©Riproduzione riservata
(04/08/2012)
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